Ieri l’Arcivescovo è salito sul Duomo, vicino alla Madunina, e l’ha pregata. Le ha detto di confortare “coloro che più soffrono nei nostri ospedali e nelle nostre case”, di sostenere “la fatica dei tuoi figli impegnati nella cura dei malati”. Devo essere onesto: la voce dell’Arcivescovo manca, in questa crisi. Manca quella grande tradizione morale, quella vocazione a parlare alla politica, a dare messaggi ampi. Sono cresciuto con Martini, e con Tettamanzi. Anche Scola, pur nel suo essere professorale, riusciva a trasmettere messaggi forti alla politica. Più forti della frasetta “infondi sapienza nelle decisioni”. E dire che avrebbe mille modi di comunicare, mille cose da dire, mille messaggi da mandare. Alle pecore spaventate e pure agli atei, che comunque – quando c’è la difficoltà – sperano tanto di sbagliarsi e che un Dio esista comunque.
Se sull’esistenza di Dio si dibatte, sulla serietà di certe decisioni invece no. Ieri ho ascoltato con molta attenzione il discorso di Conte, e per una volta mi aveva stupito: pareva che avesse deciso di estendere le misure, rigorosissime, richieste da Regione Lombardia a tutta Italia. Un atto di grande coraggio, per il quale invocava l’ammirazione del mondo. Poi aspetti qualche decina di minuti e scopri che, oltre gli alimentari, devono rimanere aperti quelli che vendono computer telefonini, ferramenta, elettricisti, negozi di lampade, le edicole (forse perché l’ha chiesto Repubblica), le profumerie (sia mai che a casa non ti metti una goccia di acqua di colonia), i negozi di materiale per ottica e fotografia (per farci meglio i selfie sul terrazzo?). In più i servizi assicurativi bancari eccetera. Cioè, in pratica non chiude nessuno tranne quelli che vendono vestiti e scarpe. E niente, sull’esistenza di Dio si dibatte, su quella di un governo serio, francamente, non ho nulla da dire.