Il cerchio si chiude. La sacra trinità del Rock è completa anche nella Rock And Roll Hall Of Fame: dopo i Led Zeppelin e i Black Sabbath, sono stati finalmente ammessi l’8 Aprile 2016, durante la cerimonia ufficiale al Barclay’s Center di Brooklyn, New York, anche i DEEP PURPLE, per troppi anni ingiustamente lasciati fuori visto l’immenso peso specifico del loro valore artistico nella storia del Rock. A dir poco assurdo infatti, che una delle band più apprezzate, più rappresentative e più instancabili (50 anni di carriera trascorsi praticamente on the road) non fosse ancora stata votata e premiata a dovere!
Si è ampiamente dibattuto negli anni sulle dinamiche di scelta della discussa Commissione in carica (che quest’anno ha indotto anche Cheap Trick, Chicago e Steve Miller, lasciando però fuori, tra i nominati, ad esempio nomi eccellenti quali Yes e Cars). Nonostante tutto però, questo premio resta un riconoscimento importante per ogni artista o gruppo, come anche per produttori o manager, essendo la RaRHoF dedicata alla memoria dei più influenti protagonisti dell’industria musicale di sempre.
Tante polemiche hanno accompagnato questa “induzione a profondo porpora” da quando è arrivato l’annuncio lo scorso Dicembre. Il primo ad esporsi fu il frontman Ian Gillan il quale, profondamente risentito, aveva attaccato gli organizzatori per la loro decisione di lasciare fuori dal riconoscimento due dei membri attuali della band, ovvero Steve Morse e Don Airey, che, come sottolineato dallo stesso Gillan, da anni sono parte integrante della loro carriera. Al contrattacco è subito partito Ritchie Blackmore, senza troppe cerimonie nè mezzi termini, pubblicando un comunicato tramite il suo sito ufficiale: “Ritchie è onorato di entrare a far parte della Rock And Roll Hall of Fame e stava discutendo la possibilità di partecipare alla cerimonia, fino a quando non ha ricevuto una comunicazione dal presidente della Hall of Fame, secondo cui Bruce Payne, attuale manager dei Deep Purple, ha posto il veto assoluto alla sua partecipazione. Per questo motivo Ritchie toglie tutti dall’imbarazzo e non parteciperà alla cerimonia pur ringraziando tutti i fan”.
Blackmore – che dopo la reunion del 1984 ha lasciato il suo gruppo definitivamente nel Novembre 1993, rimanendo in tutti questi anni non proprio in buoni rapporti con i suoi ex compagni – non ha concesso prove d’appello. Famoso per il suo indubbio talento, che va di pari passo al suo pessimo carattere e alle sue cocciute prese di posizione, Ritchie, come aveva giurato, non si è fatto vedere alla cerimonia, anche se molti fans hanno sperato fino all’ultimo in un colpo di scena.
La delegazione profondo porpora, presente in tutta la sua proverbiale eleganza a ritirare l’ambito premio, era la seguente: Ian Gillan, Ian Paice, Roger Glover, David Coverdale, Glenn Hughes e la Signora Jon Lord, Vicky (grande amore della sua vita insieme al suo ruggente Hammond) intervenuta a nome dell’indimenticato marito che il 16 Luglio 2012 ha perso la sua battaglia contro il cancro all’età di 71 anni.
Il batterista dei Metallica, Lars Ulrich, è stato eletto per introdurre i Deep Purple nella premiazione della Rock And Roll Hall Of Fame e lo ha fatto nel suo stile, diretto proprio come le sue rullate: esaustivo, emozionato ed emozionante. Il suo speech è talmente perfetto che, senza aggiungere una virgola, ve lo riproponiamo in versione integrale insieme ai video della grande serata. Per Lars fu amore a primo concerto per i DP alla tenera età di 9 anni, e da tempo immemore si prodiga nel caldeggiare insistentemente il loro nome tra i candidati più meritevoli di sempre al premio…
“Questa serata rappresenta il culmine di due viaggi musicali: il mio, e quello della band che ha cambiato la mia vita e il rock’n’roll. Quando avevo 9 anni, mio padre mi portò a vedere un concerto dei Deep Purple in un freddo e scuro sabato laggiù in Danimarca. Era il Febbraio 1973. Tutto aveva un alone leggendario quella sera… il sound, lo spettacolo, le canzoni, i musicisti che facevano con i loro strumenti tutte quelle cose che io non avevo mai visto fare prima di allora – e che mai avrei creduto possibili. I Deep Purple sono sempre stati una meravigliosa contraddizione: entrai e mi trovai di fronte a cinque musicisti al culmine della loro carriera che jammavano su un classico dietro l’altro con un’intensità nuda e cruda, ma anche una naturalezza quasi stessero suonando tra le mura del loro garage, da soli… eppure al tempo stesso lanciando il loro profondo sguardo cento metri più in là, fino alle budella dell’arena. Eh sì, ho proprio detto budella! Lasciatemi spiegare per bene… Il cantante, eccolo là, Ian Gillan, al centro della scena catalizzava l’attenzione, una vera calamita per gli occhi, l’essenza della figaggine del frontman fatta persona… tirava fuori l’anima a squarciagola riuscendo a raggiungere tali picchi di note che di certo avrà frantumato le vetrate in tutta la città. Dietro di lui alla batteria, il piccolo Ian Paice, un rock’n’roll cocktail di capelli, sudore e quella sua impostazione impeccabile. Nulla riusciva a fermare quel treno ritmico in corsa, né gli occhiali appannati né i suoi stivali tacco 20… impressionante, Ian, davvero impressionante. Alla destra del palco, il regale Jon Lord. Amiamo tutti Jon Lord, e tanto. Mai nessuno come lui ha saputo entrare in simbiosi con il suo organo. [risate]…Ma avevo solo 9 anni… Faceva col suo Hammond C-3 cose che nessuno aveva mai osato prima, incendiando letteralmente la sua musicalità attraverso un muro di Marshall e Leslie, con un suono unico e potente che esplorava territori inesplorati ad un volume devastante. Non per enfatizzare, ma Jon Lord è stato davvero il primo ad amplificare e distruggere l’organo Hammond! Lo abbiamo tristemente perso nel 2012… Cappello da cowboy, camicia decorata a mille colori, il nonplusultra della scioltezza, colui che era la colonna portante, groovy e… posso osare dire sexy? Ecco, l’ho detto! Roger Glover dominava come un falco dall’alto della sua possente presenza scenica che mediava e sosteneva il fuoco incrociato delle energie dei suoi compagni, dissimulando nell’ombra la sua immortale personalità sia come compositore che come co-produttore di alcuni tra i più grandi dischi di sempre. E poi c’era lui, Ritchie fucking Blackmore. Ciò che era capace di fare con quella chitarra sembrava inarrivabile. Ci dava dentro come un ossesso. Suonava mettendo la chitarra di lato, sotto sopra o facendola roteare. Le sue dita, le mani, le braccia, in un’irrefrenabile danza di movimenti e momenti imprevedibili. I suoni, lo stridio, i salti di tonalità mentre la strusciava contro le casse, quella chitarra la suonava perfino con il di dietro, con gli stivali, la lanciava in aria… Il tutto mantenendo sia un peculiare livello di intrattenimento, ma anche il totale controllo e un certo distacco, come se nulla fosse. Era come se Blackmore si esibisse per compiacere se stesso, spingendosi al limite del narcisismo elettrico. Eppure, era così maledettamente figo. Era impossibile togliergli gli occhi di dosso. Questi ragazzi sì che sapevano suonare. Senza ombra di dubbio. Potrei andare avanti tutta la notte a tesserne le lodi… Questo è il vantaggio dell’arrivare primi. Questi ragazzi sapevano suonare. E sapevano improvvisare. Vivevano costantemente una curiosa, fortissima competizione l’un l’altro, volta a portare la musica su nuovi livelli, verso nuovi orizzonti inesplorati, che non si sono mai ripetuti. Mandate il nastro avanti veloce, a 12 ore dopo quel primo concerto, ed eccomi lì al negozio di dischi sotto casa a chiedere a mamma e papà di poter portare a casa tutto lo scibile umano marchiato Deep Purple. Mi ritrovo tra le mani l’album ‘Fireball’. La mia esistenza, la mia vita in quel momento preciso è ufficialmente cambiata per sempre. Praticamente senza alcuna eccezione, qualsiasi band hard rock degli ultimi 40 anni, inclusa la mia, segue una linea diretta che deriva da Black Sabbath, Led Zeppelin e Deep Purple. Per quel che mi riguarda, questi tre gruppi si equivalgono a livello di composizione, incisioni e successo. Dove sono cresciuto io – e anche nel resto del mondo ad eccezione del Nord America a quanto pare – queste band sono sempre state considerate alla pari per status, statura e influenza. Nel mio cuore – e so di parlare anche a nome di molti miei colleghi musicisti nonché di milioni di Purple fans ribadendolo – io sono sconcertato dal fatto che i Deep Purple vengano indotti nella Rock and Roll Hall of Fame così tardivamente. [applausi]. Decenni e decenni dopo sua maestà i Sabbath e gli sfolgoranti Zeppelin. Questo ovviamente non vuole essere irrispettoso nei confronti della Rock Hall, ma voglio solo mettere in chiaro una volta per tutte quanto i Deep Purple siano effettivamente venerati in tutto il resto del mondo. [applausi]. E mentre il resto del mondo applaudiva tutti gli altri, i Deep Purple diventavano dei big alla vecchia maniera. Hanno lavorato sodo: tour senza sosta, la produzione costante di album con la media di un disco all’anno, a volte addirittura due, fregandosene altamente dell’importanza dell’immagine e senza curarsi del sostegno della critica. E nell’epoca d’oro della dissolutezza del rock’n’roll, questi Signori lasciavano parlare solo la musica e per quanto riguarda sesso e droga, si confermavano di giorno in giorno integerrimi gentleman in tutto e per tutto. E se proprio proprio si volesse andare a pescare nel torbido, il massimo della sregolatezza dei Deep Purple sono stati i cambi di formazione. 10 musicisisti diversi nei soli primi 7 anni, e 14 cambi totali nell’arco dell’intera carriera. Lasciate che io dedichi una meritata menzione ovviamente a tutti i musicisti che hanno avuto un ruolo in questa grande storia, compresi gli altri tre protagonisti premiati questa sera. Ho avuto il privilegio di vedere due di loro nella serata del loro debutto dal vivo, quando i Deep Purple tornarono a Copenhagen nel Dicembre 1973. Il cantante David Coverdale, mi spiazzò completamente con il suo unico bluesy vibe e quello strambo modo di gestire l’asta del microfono. Che diavolo era quel gesto? E poi Glenn Hughes. Mr Glenn Hughes, con il suo completo di raso bianco, quella sua chioma da rocker strafigo che fluttuava insieme alla sua voce R&B. E da ultimo, anzi in verità lui fu il primo, il cantante originale Rod Evans, che fu la voce guida dei Purple nel periodo formativo sul finire dei anni ‘60 e sul primo singolo di successo, ‘Hush’. Sia per gli 8 indotti di questa sera che per i 14 membri che hanno fatto parte di questa band, la grande musica è nata sempre e comunque da una intensissima tensione artistica… e che grande musica ! Pensate a dischi come: ‘The Book of Taliesyn’, ‘Deep Purple in Rock’, ‘Fireball’, ‘Machine Head’, ‘Stormbringer’… E brani fenomenali, tra gli altri, ‘Wring That Neck’, ‘Black Night’, ‘Speed King’, ‘Child in Time’, ‘Strange Kind of Woman’, ‘Highway Star’, ‘Woman From Tokyo’, ‘Mistreated’ e la lista si fa lunga… Beh, poi è uno sballo totale la differenza tra le versioni studio e quelle live dei brani. Un esempio lampante è ‘Space Truckin’’: su ‘Machine Head’ dura circa 4 minuti, mentre sul leggendario ‘Made in Japan’ sfiora addirittura i 20 minuti di durata… Dov’è finita quell’era? Gli assoli, le jam, la forza compulsiva che animava ogni singola performance dei Purple sono la ragione per cui Wikipedia riporta una lista di ben 42 live album ufficiali. Non scherzo, 42! Perché loro erano bravi davvero, sui generis e ispiratissimi ogni sera… e lo sono ancora! Cazzo se lo sono ancora, maledettamente. Un attimo però, mi sembra che manchi una certa canzone all’appello, dico bene? Ma sì quella che conoscono tutti, quella che parla di Frank Zappa, del casinò che brucia sul lago svizzero, con le fiamme che arrivano su fino al cielo. Forse il più caratteristico e classico riff di chitarra di tutti i tempi, il primo che tutti abbiamo imparato alla chitarra, il riff che non a caso è stato bandito in tutti i negozi di strumenti musicali del mondo per preservare la sanità mentale dei commessi. Ancora una volta, questa è solo la sacrosanta verità. Quel riff ho imparato a suonarlo perfino io che sono il chitarrista più scarso dell’universo… Tutti conosciamo a mena dito quel titolo… sì, ‘Smoke on the Water’! La hit che è un marchio di fabbrica e il loro singolo più famoso. Talmente immenso che avrebbe potuto trasformare i Deep Purple in una one-hit wonder, una meteora. Ma visto che oggi sappiamo tutti molto bene che è andata diversamente, immaginatela piuttosto come un grosso portone che vi conduce nel migliore dei modi verso un’eredità senza fine. Uno di quei brani che rimangono più vitali che mai anche nell’ultima ennesima incarnazione in tour per il mondo, facendo impazzire generazioni e generazioni e cambiando costantemente la vita di qualcuno. C’è una foto che troneggia sulla testata del mio letto. La conservo lì da anni. Me la regalò il mio amico Frank, si tratta di una foto dei Deep Purple con la mia faccia photoshoppata su quella di Ian Paice. Perdonami, Ian, è un regalo. Questo la dice lunga sul significato che i Deep Purple hanno per me, condiviso, lo so, da tutti i fans qui presenti e da milioni di seguaci in tutto il mondo. Già, già… Tutti coloro che come me considerano i Deep Purple epici, imprevedibili, energici, irresistibili, intensi, brillanti, impetuosi, spontanei, ipnotici, mozzafiato, un’esperienza musicale che ha dell’ultra terreno, implacabili, pioneristici e non da ultimo senza tempo. Ritchie Blackmore, David Coverdale, Rod Evans, Ian Gillan, Roger Glover, Glenn Hughes, Jon Lord, Ian Paice… avrebbero dovuto arrivare qui già da lungo lungo tempo. Sono qui ora finalmente al loro posto. Ho sempre sognato di poterlo dire, e allora per favore fate sentire il vostro più caloroso benvenuto sul palco e nella Rock and Roll Hall of Fame… ai Deep Purple!!!”.
Hanno poi preso parola Gillan (il quale ha ricordato anche la breve ma intensa militanza nei DP da parte di Joe Satriani) Glover, Paice, Coverdale e Hughes per ringraziare dell’onoreficenza (trovate il video in allegato).
Durante la serata la line up attuale dei Deep Purple ha eseguito un breve set che comprendeva i classici “Highway Star”, “Green Onions” (con un’immagine di Jon Lord proiettata durante l’esibizione), “Hush” e “Smoke On The Water”.
Giustizia è fatta, finalmente!
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