G7 agricolo, blitz della Coldiretti a Bergamo

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Blitz di centinaia di agricoltori al G7 agricolo per chiedere di fermare le speculazioni sul cibo e sostenere politiche agricole che sappiano potenziare le produzioni locali con la valorizzazione delle identità territoriali, per sfuggire all’omologazione che deprime i prezzi e aumenta la dipendenza dall’estero. Sotto accusa gli accordi internazionali che favoriscono le speculazioni senza rispettare la salute, l’ambiente e i diritti sociali. L’iniziativa è della Coldiretti a Bergamo dove, nel sentierone della città bassa, gli agricoltori con i trattori e i prodotti locali del territorio hanno portato la pecora “Vicky” di razza bergamasca, che è la piu’ grande del mondo assunta a simbolo del G7. Le sue caratteristiche di resistenza caparbietà, sostenibilità ambientale e adattabilità – spiega la Coldiretti – ne fanno l’emblema dell’agricoltura che vince nel tempo della globalizzazione restando radicata nel territorio, sostenendo le economie locali e assicurando una costante attività di tutela rispetto ai rischi di dissesto idrogeologico. Secondo l’indagine Coldiretti/Ixe’, elaborata in occasione del G7 agricolo di Bergamo, il vertice del G7 agricolo dovrebbe porsi come principali obiettivi la sicurezza alimentare e la tutela dei consumatori (33%), la difesa dei sistemi agricoli locali (32%), la lotta alla fame nel mondo (24%) e solo all’ultimo posto quello di favorire gli scambi commerciali (7%) mentre il restante 4% non risponde. Gli italiani – conclude la Coldiretti – sono divisi praticamente a metà nei giudizi sul valore del summit con il 46% che lo giudica utile, il 31% inutile, l’8% addirittura dannoso mentre il 15 % non risponde.

Dal riso asiatico alle conserve di pomodoro cinesi, dall’ortofrutta sudamericana alle nocciole turche, gli scaffali dei supermercati dell’Unione Europea sono invasi dalle importazioni di prodotti extracomunitari ottenuti dallo sfruttamento spesso anche grazie alle agevolazioni commerciali. E’ quanto denuncia la Coldiretti in occasione del G7 dell’agricoltura a Bergamo dove, nel sentierone della città bassa, è in corso una mobilitazione con i prodotti locali del territorio e la pecora “Vicky” di razza bergamasca, che è la piu’ grande; del mondo, assunta a simbolo del G7. Conserve di pomodoro, olio d’oliva, ortofrutta fresca e trasformata, zucchero di canna, rose, olio di palma sono solo alcuni dei prodotti stranieri che arrivano in Europa e in Italia che sono spesso il frutto del mancato rispetto dei diritti sociali che passa inosservato solo perché avviene in Paesi lontani, dove viene sfruttato il lavoro minorile, che riguarda in agricoltura circa 100 milioni di bambini secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO), di operai sottopagati e sottoposti a rischi per la salute, di detenuti o addirittura di veri e propri moderni “schiavi”.

E tutto questo accade nell’indifferenza delle Istituzioni nazionali, europee ed internazionali che, anzi, spesso alimentano di fatto il commercio dei frutti dello sfruttamento con agevolazioni o accordi privilegiati per gli scambi che avvantaggiano solo le multinazionali. Un esempio è rappresentato dalle importazioni di conserve di pomodoro dalla Cina al centro delle critiche internazionali per il fenomeno dei laogai, i campi agricoli lager che secondo alcuni sarebbero ancora attivi, nonostante l’annuncio della loro chiusura. Nel 2016 sono aumentate del 36% le importazioni in Italia di concentrato di pomodoro dal Paese asiatico che hanno raggiunto 92 milioni di chili, pari a quasi il 10% della produzione nazionale in pomodoro fresco equivalente. In questo modo, c’è il rischio concreto che il concentrato di pomodoro cinese, magari coltivato da veri e propri “schiavi moderni”, venga spacciato come Made in Italy sui mercati nazionali ed esteri per la mancanza dell’obbligo di indicare in etichetta la provenienza.

Rilevanti sono anche le importazioni di nocciole dalla Turchia sulla quale pende l’accusa per lo sfruttamento del lavoro delle minoranze curde, ma il problema dello sfruttamento riguarda anche le rose dal Kenya per il lavoro sottopagato e senza diritti, i fiori dalla Colombia dove è stato denunciato lo sfruttamento del lavoro femminile o la carne dal Brasile dove è stato denunciato il lavoro minorile. Le banane sono il terzo frutto più consumato in Italia, ma su quelle che vengono dall’Ecuador sono stati segnalati trattamenti chimici fuorilegge in Europa, mentre lo zucchero di canna, divenuto di gran moda, viene ottenuto in Bolivia in piantagioni dove si segnala l’abuso di stimolanti per aumentare la resistenza al lavoro. Ma ci sono trattative in corso anche per i prodotti frutticoli con i Paesi del Mercosur (Argentina, Brasile, Paraguay, Uruguay) dove non ci sono le stesse norme di tutela di lavoro vigenti in Italia. L’Argentina, che è nella lista nera del dipartimento di Stato americano per lo sfruttamento del lavoro minorile nelle coltivazioni di aglio, uva, olive, fragole e pomodori, ha aumentato le esportazioni di prodotti ortofrutticoli in Italia del 15% nel corso del 2016.

Un caso a parte è quello delle importazioni di olio di palma ad uso alimentare che in Italia sono più che raddoppiate negli ultimi 20 anni raggiungendo nel 2016 circa 450 milioni di chili. Uno sviluppo enorme che sta portando al disboscamento di vaste foreste senza dimenticare l’inquinamento provocato dal trasporto a migliaia di chilometri di distanza dal luogo di produzione e, naturalmente, le condizioni di sfruttamento del lavoro delle popolazioni locali private di qualsiasi diritto. “Non è accettabile che alle importazioni sia consentito di aggirare le norme previste in Italia dalla legge nazionale sul caporalato ed è necessario, invece, che tutti i prodotti che entrano nei confini nazionali ed europei rispettino gli stessi criteri a tutela della dignità dei lavoratori, garantendo che dietro tutti gli alimenti, italiani e stranieri, in vendita sugli scaffali ci sia un percorso di qualità che riguarda l’ambiente, la salute e il lavoro, con una giusta distribuzione del valore a sostegno di un vero commercio equo e solidale”, ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo.

 

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