Di Fabio Massa
Non mi stupisce leggere che Milano è prima nella classifica sulla qualità della vita. Avvertenza: prendo sempre estremamente con le molle questi ranking però comunque c’è da gioire. Milano è il luogo con il lavoro meglio pagato, con i servizi più efficienti e con le infrastrutture più estese in Italia? Certamente sì. Ed è tutta roba che si paga a caro prezzo. Infatti il problema oggi è che molta della forza lavoro che fa girare il sistema Milano non può più permettersi di vivere a Milano. E che l’idea stessa di grande città, di estensione fuori dai limiti amministrativi territoriali, è stata accantonata e lo sarà ancora di più quando entrerà in vigore Area B, che marcherà la distanza tra centro e periferie, in virtù di un bilancio sui trasporti che ormai può fare i conti solo con la linea interna, senza ipotizzare estensioni fuori dai confini comunali. Milano è dunque prima nella classifica sulla qualità della vita. Dobbiamo gioirne? Forse sì, in tempi di gufi. Ma anche no. Perché la vera domanda è se Milano tra 10 anni sarà ancora prima in queste classifiche. Città come la nostra metropoli hanno una inerzia che non si misura in mesi, ma in lustri. Quel che oggi si vede è stato progettato dall’ultimo Pisapia e dal primo Sala. E Pisapia ereditava progetti di Albertini e Moratti. Eppure quest’ultima, della quale oggi si favoleggia come possibile candidata sindaco, quando era prima cittadina visse per anni all’interno di un periodo buio per la città, in preda alla crisi economica e al vuoto pneumatico di fondi spendibili. Dunque, la domanda che dovremmo farci è questa: che cosa ci aspetta a Milano tra 5 o 10 anni? Un paio di considerazioni positive: la città è ricca, e lo sarà ancora di più, sul breve-medio periodo. Questo farà ulteriormente alzare la qualità della vita. Ma poi, se non si torna a fare progetti e piani, a mettere nel cassetto sogni, si fermerà. E il tracollo sarà vertiginoso, in una società che sarà più anziana, bisognosa di cure da un servizio sanitario già oggi vicino al collasso. Serve una presa di coscienza su questo punto, che non è una critica (solo) alla politica, nelle sue articolazioni consigliari e amministrative, ma è anche e soprattutto una presa di coscienza da parte di chi davvero la fa muovere: il mondo imprenditoriale che è sempre stato attento a quel che poteva dare alla metropoli, e che ora sembra molto attento solo a quello che può prendere dalla metropoli.