Il manifesto per la “giustizia mestruale”

WeWorld propone 6 punti per scardinare i tabù e le discriminazioni legate al ciclo mestruale, dal chiamarle col proprio nome all’IVA allo 0% sui prodotti mestruali. Il Manifesto chiede anche che la salute mestruale venga riconosciuta nel diritto alla salute

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Ogni mese 1,8 miliardi di persone nel mondo, in media, hanno le mestruazioni e sono tante le discriminazioni che possono subire: perdere giorni di scuola o lavoro, sentire sminuito il dolore mestruale, disagio all’avvicinarci della menopausa, battute sull’umore ma anche mancanza di accesso a bagni sicuri, acqua e prodotti mestruali.
È per questo che WeWorld, organizzazione italiana indipendente, promuove il Manifesto per la giustizia mestruale: 6 punti per promuovere la giustizia mestruale in Italia e per scardinare i tabù e le discriminazioni legate al ciclo mestruale.
Dal chiamarle col proprio nome all’IVA allo 0% sui prodotti mestruali, il Manifesto chiede anche che la salute mestruale venga riconosciuta nel diritto alla salute perché tutte le sfide connesse a un’adeguata gestione del ciclo sono parte di un problema più grande e sistemico: le mestruazioni non sono una questione personale, ma una questione di diritti umani e salute pubblica.

“Quello che serve è adottare un’ottica di giustizia mestruale. Quando c’è giustizia mestruale tutte le persone che hanno le mestruazioni possono accedere ai prodotti mestruali che desiderano, sono libere di decidere per il proprio corpo, ricevono adeguate informazioni, possono vivere il proprio ciclo mestruale libere da stigma e da disagio psicologico e non sono limitate nella partecipazione alla vita sociale – spiega Martina Albini, responsabile del Centro Studi di WeWorld -. Il nostro paese deve dotarsi di un’agenda per la giustizia mestruale perché le mestruazioni non sono solo una questione personale, ma una questione di diritti umani e salute pubblica. Per questo abbiamo lanciato un Manifesto con le nostre 6 proposte per garantire una maggiore giustizia mestruale”.

Ascolta l’intervista a Martina Albini responsabile del Centro Studi di WeWorld 

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