Di Fabio Massa
Premessa di metodo: le sentenze si rispettano. Si rispettano quando vanno a favore dei politici, quando vanno contro i politici, quando vanno a favore delle persone comuni, quando vanno contro le persone comuni. Le sentenze si rispettano, siano esse di assoluzione o di condanna. Detto questo non può che destare qualche dubbio quanto avvenuto a Brescia ieri. Vi ricordate quel sostituto procuratore che aveva motivato la richiesta di proscioglimento per un imputato bengalese accusato di aver pestato la moglie poiché era “la sua cultura”? Ecco, il pm è tornato in aula cambiando un po’ versione. Antonio Bassolino, questo il nome del pm, aveva sostenuto che i comportamenti dell’uomo fossero letteralmente “il frutto dell’impianto culturale e non della coscienza e volontà di annichilire e svilire la coniuge”. Insomma, era la cultura del Bangladesh a determinare la sua condotta violenta, non una sua libera scelta pestare la moglie. Grande bagarre e casino sui giornali. Allora il pm torna in aula, stando alle cronache, e deposita una memoria nella quale rivaluta la precedente richiesta e la riformula chiedendo l’assoluzione perché il fatto non sussiste, poiché il reato di maltrattamento contestato difetta del requisito dell’abitualità. Il che è ancora più incredibile, come se non bastasse una violenza per definire un marito violento. E poi: c’è una radicale differenza nel dire che un fatto non costituisce reato (tradotto: lui ha pestato la moglie, ma non è reato per le motivazioni culturali addotte) e che un fatto non sussiste (tradotto: lui non ha mai pestato la moglie). Ma insomma: l’ha picchiata la moglie o no, secondo questo pm? Detto questo, prima di dare un giudizio definitivo c’è da aspettare le motivazioni, tra 90 giorni. Sarà interessante leggerle. Perché le sentenze si rispettano, ma non è detto che non ci si possa ragionare un poco su.