“È doloroso constatare che, allo stato attuale, non sia realmente possibile partecipare a una manifestazione d’interesse per lo Stadio di San Siro, a prescindere dal ‘compendio immobiliare’ che lo ingloba e ne assorbe il senso. E non per mancanza di idee, di volontà, di visione o coraggio ma per le modalità con cui è stato presentato l’Avviso pubblico per la raccolta di manifestazioni di interesse. A bloccarci sono state le modalità dell’Avviso pubblico per la raccolta di manifestazioni di interesse. In particolare, i tempi: appena 37 giorni per presentare una proposta, a fronte dei cinque anni e mezzo di interlocuzioni goduti dai fondi che gestiscono le due società calcistiche. A questi si aggiungono sette mesi da quando è stata prospettata la vendita dello stadio, soluzione fortemente voluta dai due fondi. Un tempismo quantomeno curioso, che sembra costruito per scoraggiare, se non escludere, ogni proposta alternativa. Molti operatori, me compreso, confidavano in almeno 120 giorni, il minimo per elaborare un piano serio, strutturato e sostenibile. Non è stato così”.

Lo scrive Claudio Trotta, fondatore di Barley Arts, azienda tra le più importanti organizzatrici di concerti e di Assomusica, l’associazione dei promoter e produttori di concerti italiani, in una lettera indirizzata al sindaco Giuseppe Sala e ai consiglieri comunali. “Si perde così un’occasione preziosa: quella di mobilitare energie imprenditoriali e culturali per rilanciare un simbolo di Milano conosciuto in tutto il mondo, che potrebbe vivere una nuova stagione come spazio condiviso, aperto, accessibile. Un crocevia vivo di sport, cultura e spettacolo, tutto l’anno. Sarebbe bello poter contribuire. Sarebbe ancora più giusto che ci fosse davvero la possibilità di farlo. Ma il vero nodo è un altro. Il perimetro dell’operazione: non si parla più solo dello Stadio Meazza, ma del cosiddetto ‘compendio immobiliare della grande funzione urbana (GFU) San Siro comprensivo dello Stadio Giuseppe Meazza’, un’area tre volte più grande dell’impianto. Non si tratta di spazi annessi o funzionalmente connessi allo stadio, ma di un’area che ne ridisegna completamente il significato. Non si sta più parlando di valorizzare un bene pubblico iconico, ma di una vera e propria operazione immobiliare, ben lontana da ciò che si vorrebbe far passare come un progetto per la collettività. Il risultato? Chi ha a cuore San Siro come luogo di sport, spettacolo e aggregazione non trova più spazio. Chi lavora per la cultura, l’inclusione e la partecipazione non può competere su un terreno fatto di rendite fondiarie e strumenti urbanistici. A questo punto, non servono competenze nel mondo dello spettacolo, dello sport o dell’intrattenimento, ma conoscenze immobiliari e commerciali. E allora viene da chiedersi: l’interesse pubblico dov’è? Sul prato dello stadio o nei metri quadri intorno?”, conclude Trotta.