Elogio pubblico di Carlo Calenda

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Di Fabio Massa
Ho visto un video di Carlo Calenda che prende a ceffoni verbali Elkann, il quale continua a chiedere e chiedere e chiedere al governo italiano soldi per Stellantis. Sotto aveva la musica del gladiatore, come a dire che il leader di Azione è stato l’unico ad affrontare l’imperatore cattivo e sanguinario, Dracula del nostro sangue italico. Al netto della musichetta un po’ troppo cinematografica, diamo a Calenda quel che è di Calenda: ha combattuto e combatte una battaglia giusta, con i riflettori quasi spenti perché per buona parte della stampa, e gran parte dei giornalisti, è una eresia toccare il gruppo Stampa-Repubblica. Non fosse altro che molti sperano di approdarci a lavorare. Per un articolo 1, il contratto a tempo indeterminato dei giornalisti, la metà dei precari italiani venderebbe madre padre e fratelli. Figurarsi un po’ di pezzi sulla ex Fiat. Ma Calenda, che è decisamente sui generis, come certi fantasisti del calcio, a volte la cicca, ma quando la mette nel sette fa godere clamorosamente. E stavolta la mette nel sette. Agli italiani interesserà davvero la vicenda Stellantis? Io penso di no. Ma il metro di giudizio della politica è evangelico: fai quello che è giusto, non fare quello che è sbagliato. Non è: fai quello che ti conviene. Quello è il metro dei paraculo. Che poi, applicato bene, equivale a: parla di Ventotene per non parlare dell’oggi, parla del fascismo per non parlare della deindustrializzazione, delle aziende piccole e medie che fanno da banca allo Stato e delle grandi e grandissime per le quali è lo Stato che
fa da banca a loro. Come disse qualcuno: è facile essere grandi quando si è la Ferrari, è difficile quando si è una aziendina familiare. Oh, cavolo, abbiamo citato ancora Calenda. Oggi va così, perdonate.

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