E uscimmo a veder Stellantis: un inferno di ipocrisia

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Di Fabio Massa

Ora tutti scoprono che Stellantis, ovvero la Fiat, ovvero gli Agnelli ovvero Elkann hanno campato per decenni, facendosi un tesoro che manco dei re, con le nostre tasse. Cioè, con i soldi che tutti i cittadini, anche quelli che magari avevano le Dacia, che pagavano le casse integrazioni praticamente continue della Fiat, e poi con i soldi che tutti i cittadini, anche quelli che avevano la Ford, hanno speso per far comprare alle forze dell’ordine le Alfa Romeo, e poi con i soldi che tutti i cittadini, anche quelli che avevano le tedesche, hanno speso per  i prestiti ultra agevolati voluti da Giuseppe Conte eccetera eccetera. E poi, ovviamente, con i soldi di tutti quei cittadini che hanno comprato le Fiat, che a volte erano fenomenali, come la Panda, ma a volte erano degli immondi bidoni, tanto che in America hanno pure coniato una frase per tradurre Fiat (Fix it again, Tony: aggiustala di nuovo, Tony, tipico nome da meccanico). E tutto questo – ha straragione Calenda – con la complicità del gruppo editoriale che Elkann controlla, e che non ha detto niente mentre facevano carne di porco degli operai perché quel pericoloso governo fascistissimo di Giorgia Meloni semplicemente ha detto quello che tutti pensano da mille anni: ma perché dobbiamo pagare noi per i conti della Fiat ovvero di Stellantis, ovvero bla bla bla? Una complicità talmente smaccata che adesso pure i giornalisti di Repubblica e Stampa, che sono fior di professionisti, si sono rotti le balle. Tocca stare con Salvini, questa volta, che peraltro la pensa come Calenda e come molti altri: Stellantis deve chiedere scusa. E dopo aver chiesto scusa lei, devono chiederlo tutti quei politici che hanno fatto della Fiat un bacino elettorale, così come era Alitalia eccetera eccetera. Ma la prima repubblica è morta, e pure la seconda non si sente molto bene, è ora che se ne rendano conto un po’ tutti. A partire da Tavares.

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