“Munch. Il grido interiore”, la mostra a Palazzo Reale

Milano celebra Edvard Munch con una mostra dalla qualità straordinaria nella quale vengono esposte quasi 100 opere del grande pittore norvegese. Tra queste una delle versioni litografiche del famosissimo e iconico L'Urlo (1895) custodite a Oslo.

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Dopo 40 anni dall’ultima mostra a Milano, EDVARD MUNCH (Norvegia, 1863 -1944) viene celebrato con una grande mostra. Protagonista indiscusso nella storia dell’arte moderna, Munch è stato uno dei principali artisti simbolisti del XIX secolo ed è considerato un precursore dell’Espressionismo, oltre a essere un maestro nell’interpretare le ansie e le aspirazioni più profonde dell’animo umano. La vita di Munch è stata segnata da grandi e precoci dolori. La perdita prematura della madre a soli 5 anni e della sorella, la morte del padre e la tormentata relazione con la fidanzata Tulla Larsen sono stati il materiale emotivo primigenio sul quale l’artista ha cominciato a tessere la sua poetica, la quale si è poi combinata in maniera originalissima, grazie al suo straordinario talento artistico, con la sua passione per le energie sprigionate dalla natura. I suoi volti senza sguardo, i paesaggi stralunati, l’uso potente del colore, la necessità di comunicare dolori indicibili e umanissime angosce sono riusciti a trasformare le sue opere in messaggi universali e Munch uno degli artisti più iconici del Novecento.

La mostra – curata da PATRICIA G. BERMAN, una delle più grandi studiose al mondo di Munch, in collaborazione con COSTANTINO D’ORAZIO per il supporto nella redazione dei testi di approfondimento in mostra – racconta tutto l’universo dell’artista, il suo percorso umano e la sua produzione grazie a un percorso di 100 OPERE, tra cui una delle versioni
litografiche de /L’Urlo/ (1895) custodite a Oslo, /La morte di Marat/ (1907), /Notte stellata/ (1922–1924), /Le ragazze sul ponte/ (1927), /Malinconia/ (1900–1901) e /Danza sulla spiaggia (1904)/. Ad arricchire la mostra milanese, è previsto un ricco palinsesto di eventi
che coinvolgerà diverse realtà culturali della città e che andrà ad approfondire la figura dell’artista e ad espandere i temi delle sue opere.

L’ARTISTA
Munch è uno degli artisti che ha saputo meglio interpretare sentimenti, passioni e inquietudini della sua anima, comunicandoli in maniera potente e diretta. Plasmato inizialmente dal naturalista norvegese Christian Krohg, che ne incoraggiò la carriera pittorica, negli anni Ottanta del Novecento si recò a Parigi dove assorbì le influenze impressioniste e postimpressioniste che gli suggerirono un uso del colore più intimo, drammatico ma soprattutto un approccio psicologico. A Berlino contribuì alla formazione della Secessione Berlinese e nel 1892 si tenne la sua prima personale in Germania, che fu reputata scandalosa: da quel momento in poi Munch viene percepito come l’artista eversivo e maledetto, alienato dalla società, un’identità in parte promossa dai suoi amici letterati. A metà degli anni Novanta del XIX secolo si dedicò alla produzione di stampe e, grazie alla sua sperimentazione, divenne uno degli artisti più influenti in questo campo. La sua produttività e il ritmo serrato delle esposizioni lo porteranno a ricoverarsi volontariamente nei sanatori a partire dalla fine degli anni Novanta del XIX secolo. Relazioni amorose dolorose, un traumatico incidente e l’alcolismo – vivendo la vita “sull’orlo di un precipizio” – lo portarono a un crollo psicologico per il quale cercò di recuperare in una clinica privata tra il 1908 e il 1909. Dopo aver vissuto gran parte della sua vita all’estero, l’artista quarantacinquenne tornò in Norvegia, stabilendosi al mare, dipingendo paesaggi e dove iniziò a lavorare ai giganteschi dipinti murali che oggi decorano la Sala dei Festival dell’Università di Oslo. Queste tele, le più grandi dell’Espressionismo in Europa, riflettono il suo sempre vivo interesse per le forze invisibili e la natura dell’universo. Nel 1914 acquistò una proprietà a Ekely, Oslo, dove, da celebre artista internazionale, continuò il suo lavoro sperimentale fino alla morte, avvenuta nel 1944, appena un mese dopo il suo ottantesimo compleanno.

LA MOSTRA
Nel corso della sua lunga vita Edvard Munch realizzò migliaia di stampe e dipinti. Essendo tanto un uomo d’immagini quanto di parole, riempì fogli su fogli di annotazioni, aneddoti, lettere e persino una sceneggiatura per il teatro. L’esigenza di comunicare le proprie percezioni, il proprio ‘grido interiore, lo accompagnò per tutta la vita, e proprio questa
attitudine è stato il motore della sua pratica come artista, che ha toccato tanto temi universali – come la nascita, la morte, l’amore e il mistero della vita – quanto i disagi psichici necessariamente connessi all’esistenza umana – le instabilità dell’amore erotico, il disagio prodotto dalle malattie fisiche e mentali e il vuoto lasciato dalla morte. Questa mostra ruota attorno al ‘grido interiore’ di Munch, al suo saper costruire, attraverso blocchi di colore uniformi e prospettive discordanti, lo scenario per condividere le sue esperienze emotive e sensoriali: un processo creativo che sintetizza ciò che l’artista ha osservato, quello che ricorda e quanto ha caricato di emozioni. Altre opere, invece, cercano di immortalare le forze invisibili che animano e tengono insieme l’universo. L’inizio della sua carriera coincide infatti con cambiamenti radicali nello studio della percezione: alla fine
dell’Ottocento è in corso un dibattito tra scienziati, psicologi, filosofi e artisti sulla relazione tra quello che l’occhio vede direttamente e come i contenuti della mente influiscono sulla nostra vista. Il suo interesse per le forze invisibili che danno forma all’esperienza, condizionerà le opere che lo rendono uno degli artisti più significativi della sua epoca. Precursore dell’Espressionismo e persino del Futurismo del XX secolo nella sua esplorazione delle forze impercettibili, oggi continua a “parlare” alle visioni interiori e alle preoccupazioni anche di noi, uomini e donne dell’età moderna. Nelle sue creazioni Munch punta a rendere visibile l’invisibile.

 

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