Di fabio Massa
C’è sempre un certo strabismo, una sorta di montagna russa continua, quando si parla di città. E specialmente di città di successo come Milano. Un giorno sull’altare, l’altro nella polvere. Non dovrebbe essere così, perché la politica non è un hype su Instagram e non è di certo argomento che può essere misurato in like. Facciamo l’esempio della sicurezza. Fin quando Milano è stata lodata anche acriticamente, definita “the place to be”, il luogo ideale, la sicurezza era un di cui. Qualcosa su cui si soprassedeva, nel dibattito pubblico, tutto teso a magnificare i diritti, il rispetto e la tutela delle minoranze. Non era giusto, allora. Perché la sicurezza è un problema endemico. Endemico vuol dire che non si risolve, e non si risolverà mai. Da nessuna parte del mondo. L’unico sindaco ricordato perché ha risolto il problema sicurezza è stato Rudolph Giuliani, e si è visto come è finito. La sicurezza è un tema, la percezione della sicurezza è lo stesso identico tema. Un cittadino deve essere sicuro e deve sentirsi sicuro: non c’è differenza, per il dibattito pubblico. La distinzione è cosa da forze dell’ordine. Oggi che Milano vive una seconda era, più difficile, dopo il Covid, viene attaccata anche troppo duramente. Se prima il tema della sicurezza non esisteva, adesso esiste troppo. Tutto è Bronx, mafia, scorrerie, come se non avessimo vissuto – noi quarantenni e cinquantenni – l’infanzia negli anni ’80 del buco ovunque e dei furti per farsi una dose. Oggi il problema è diverso, e si chiama seconda generazione, identità, sentirsi milanesi, sentirsi inclusi. Ecco, non c’è una emergenza sicurezza, a Milano. C’è una emergenza identità: non si può essere milanesi senza sentirsi parte della comunità. Ma per essere milanesi bisogna contribuire alla comunità. Una lezione che le seconde generazioni devono apprendere e che noi tutti dovremmo insegnare con pazienza.