Il caso del presidente di AIFA

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Di Fabio Massa

C’è questa storia che è il paradigma dell’Italia: la presidenza di AIFA. AIFA è l’Agenzia Italiana per il Farmaco, ed è un luogo cruciale per tutto il settore farmaceutico. Non è un posto dove si scherza, perché si parla di salute, di cura, di economia. Insomma, è un posto importante. Ora, il problema è che il presidente di AIFA non vuole farlo nessuno. Il motivo? Lo stipendio. Puro e semplice. Il presidente di AIFA prende 120mila euro l’anno, ovvero quanto un segretario comunale in un comune dell’hinterland milanese. Sembrano tanti? Sì, all’operaio. Ma già se si va in banca il direttore di una filiale prende tranquillamente quella cifra. Con una differenza: il presidente di AIFA deve mollare qualunque altro lavoro, docenza, consulenza, e soprattutto una volta che ha finito di essere presidente per tre anni non può fare praticamente nulla. Così non c’è nessuno tanto matto da andare il presidente di AIFA per quella cifra e con quelle limitazioni. La cosa sarebbe semplice: alzare il compenso. Ma questo si porterebbe dietro accuse di sprechi eccetera eccetera. Sapete che cosa non vuole fare più nessuno? Il sindaco dei piccoli o medi comuni italiani, quelli fino a 30mila abitanti. Perché? Perché prendono più o meno 1800 euro al mese senza neanche i contributi, per un lavoro che espone a continue critiche e soprattutto a concreti rischi di avvisi di garanzia per qualunque cosa. Il tema qui è di iniziare a pensare che civil servant, servitore dello Stato, non vuol dire schiavo cretino. Vuol dire persona che mette a disposizione dello Stato e della comunità le sue capacità, non martire della Patria. Perché tra martire e servitore c’è una piccola differenza: il primo è morto, e il secondo no.

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