Di Fabio Massa
Chissà se qualcosa si muoverà, sul fronte stadio. Forse sarebbe meglio dire: non è una priorità oggi, ne parliamo nel 2026. Un po’ forte, come concetto, ma c’è da chiedersi perché non prenderlo in considerazione. C’è poco da fare, e pure poco da dire. Non si possono fare le cose con chi non vuole farle o non può farle. Non si può e non si dovrebbe. Sì, c’è poco da dire: il Comune ha perso tanto tempo nella primissima fase. Legge stadi sì, legge stadi no. Poi c’è stata una interlocuzione lunghissima con le squadre, la vera e propria farsa del finto referendum (ecco, quello sì, un errore!), poi lo scontro politico e il vincolo della Sovrintendenza (dalla quale adesso attendiamo l’esito del ricorso). Insomma, la vicenda si è avvitata. Ma adesso oggettivamente non è neppure colpa di Beppe Sala se il Milan è finito sotto inchiesta. Discutibile l’inchiesta? Sì. Molto. Convince, leggendo le prime carte? No. Ma comunque è un’inchiesta, e un’inchiesta limita e di molto l’operatività di una società che già di suo ha una sua struttura complicata. Sembrano lontani i tempi in cui il Milan aveva Berlusconi e l’Inter Moratti. Due padri e padroni chiari, e quando dovevi andare a bussare da qualcuno sapevi a quale citofono suonare. Quindi, Milan sotto inchiesta e Inter senza grandi risorse. Non il meglio per cercare di districare una matassa già bella stretta. Per questo una soluzione sarebbe dire, apertis verbis: ne parliamo dopo il 2026. Dopo le Olimpiadi, e con la prossima giunta. Ora di allora ci sarà forse più chiarezza, saranno cambiati tutti gli interlocutori, da ambo le parti. Sarà cambiato il governo. Quando lo schema si fa complicato a volte bisogna proprio gettare via il foglio e rifare tutto da capo.