La verità del Ponte sullo Stretto e la giustizia malata

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Di Fabio Massa

E’ stata aperta un’indagine dalla Procura di Roma sulle procedure inerenti il Ponte sullo Stretto. Ed è una vergogna. Attenzione. Non sto parlando dell’idea del Ponte sullo Stretto, sui cui ognuno può pensare quel che vuole. Per Matteo Salvini è una buona idea, ci sta spendendo il suo nome, gli elettori giudicheranno se è giusto, se sta operando bene eccetera. Sto parlando del fatto che l’indagine della Procura di Roma nasce da un esposto dei leader dell’opposizione. E’ vero, l’azione penale è obbligatoria in Italia. Però è anche vero che vengono presentati ogni giorno decine di migliaia di esposti, che vengono usati nella maggior parte dei casi per tenere ferme le gambe delle scrivanie. Vengono gettati nei cassetti, tenuti fermi, per l’unica e semplice ragione che anche a volerli evadere tutti non ci sarebbe materialmente il tempo. Quindi, la procura sceglie – e sottolineo sceglie – quel che vuole perseguire e quel che non vuole perseguire. Ora, con una inchiesta aperta, sapete che cosa succede? Che la Procura può acquisire tutti i documenti che vuole, che ogni dirigente dovrà pensarci cinquanta volte prima di mettere una firma, che ogni procedura sarà frenata dalla paura, che potrebbero anche iniziare intercettazioni e altre procedure analoghe e invasive. Tutto questo è giusto? Per carità: se c’è l’ipotesi di un reato allora bisogna indagare. Ma presentare un esposto da sinistra, aprire una inchiesta, usare le carte dell’inchiesta per finire sui giornali (cosa che accadrà tra qualche settimana, state a vedere) somiglia tanto a una lotta politica più che a un iter giudiziario. E’ giusto? Giudicate voi.

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