Un po’ di rispetto per i privati e le loro ragioni

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Di Fabio Massa

Anche se non sono cose particolarmente originali quelle che stiamo per scrivere, forse occorre un ripasso. Parliamo dell’ex Palasharp, del Meazza, della pista di Bob a Cortina. Situazioni ovviamente molto diverse. Ma che riconducono a un principio di base che non va mai perso di vista: i privati non sono missionari, non tutelano il bene pubblico a scapito del proprio guadagno e – soprattutto – hanno il diritto e pure il dovere verso i propri azionisti di guadagnare in misura congrua. Chi opera nella pubblica amministrazione invece ha il dovere di fare il massimo per la collettività. Questo è il punto di partenza, ed è un punto di partenza non negoziabile, nel quale – si badi bene – il privato non è il demonio così come il pubblico non è il bene assoluto. Semplicemente sono due controparti. La cosa che non può fare l’ente pubblico, che sia il Comune, la Regione, lo Stato, è obbligare il privato a partecipare a un’iniziativa pubblica. E’ il privato che sceglie. E il privato – generalmente – pone l’asticella su un certo prezzo. Quanto costa ristrutturare il Palasharp? Quanto costa ristrutturare San Siro? Oppure costruire uno stadio nuovo? Quanto costa costruire la nuova pista di bob? E la seconda domanda è: quanto ci posso guadagnare? Se il guadagno supera almeno del 20 per cento la spesa (almeno!) l’investimento viene preso in considerazione. Se questo non avviene, l’azienda ha due vie. La prima è quella di rinunciare. La seconda è quella di provare ugualmente ad approcciarsi al lavoro salvo poi cercare in tutti i modi di recuperare comunque la quota di guadagno minima. Ovvio, il secondo metodo è più scorretto, ma è figlio di una impostazione assurda da parte della pubblica amministrazione, sia essa statale, regionale o comunale: tirare il più possibile sul prezzo per cercare di estrarre ogni goccia di sangue dai privati. Che semplicemente non vogliono essere vampirizzati. Conosco costruttori, venditori, aziende di servizi che semplicemente si rifiutano di lavorare col pubblico. Guadagno troppo basso, lavoro troppo ingolfato di burocrazia, se va male – specialmente in alcune aree ad alta densità di corruzione – la richiesta di mazzette, sempre le pressioni della politica. Perché uno dovrebbe lavorare col pubblico? Ce lo si tenga sempre bene a mente quando si pensa che il privato debba intraprendere iniziative: non lo fa per la collettività, lo fa perché deve guadagnare. E se da un lato magari decide anche di fare beneficenza, è perché dall’altro lato ci sta guadagnando di più. Si chiama capitalismo, ed esiste da qualche centinaio di anni. L’alternativa è che faccia tutto lo Stato ma questo – la Storia ci insegna – non è un metodo che ha funzionato.

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