Fino al 4 febbraio 2024, nelle dieci sale dell’Appartamento dei Principi, l’artista ci mostra 60 immagini di grande formato con interventi di coloritura a mano, che restituiscono un percorso di analisi della teatralità in architettura: dai primi teatri di Vicenza, Sabbioneta e Parma – che segnano il passaggio dai teatri di corte agli edifici veri e propri – al Teatro alla Scala di Milano, dal Teatro San Carlo di Napoli al Teatro La Fenice di Venezia, dal Teatro Regio di Torino al Teatro Argentina di Roma, dal Teatro della Pergola di Firenze al Teatro Massimo di Palermo, unitamente ad alcune architetture che testimoniano la vocazione “teatrale” di certa architettura italiana, come la Reggia di Venaria, quella di Stupinigi, la Reggia di Caserta, Palazzo Grimani a Venezia.
Dopo Milano, la mostra Teatralità – Architetture per la meraviglia sarà a Matera, al Museo Nazionale, nel seicentesco Palazzo Lanfranchi; a Villa Zito, a Palermo, grazie alla Fondazione Sicilia; all’Accademia di San Luca a Roma, a Parigi, presso il settecentesco Hôtel de Galliffet, sede dell’Istituto Italiano di Cultura, per proseguire in altre città italiane. Nelle sue fotografie, Patrizia Mussa usa un linguaggio che sembra, a prima vista, di natura oggettivante, per l’uso della luce naturale, la visione frontale, il fuoco totale, che si inseriscono in una calibrata “narrativa”, razionale e cristallina. Ma la fotografia è, per l’artista, solo il punto di partenza. Dopo aver fissato la veduta e realizzato la stampa su carta cotone, Patrizia Mussa interviene infatti con i pastelli colorati a ripercorrere i dettagli e rendendola molto simile a un dipinto o a un arazzo, marcando così una distanza definitiva dal linguaggio meramente fotografico per approdare in un campo artistico ancora senza nome dove l’atto fotografico si unisce al gesto pittorico: «E la bella parola che definisce la scrittura con la luce, per il suo lavoro, non è sufficiente. Servirebbe un neologismo», scrive infatti la storica della fotografia Giovanna Calvenzi nel suo testo in catalogo.
«Ne risultano figurazioni inedite – aggiunge il curatore Antonio Calbi – che appartengono alla concretezza dell’esistente e del suo dato storico e allo stesso tempo se ne emancipano, assumendo dimensioni altre, quasi metafisiche. I teatri fotografati e rielaborati da Patrizia Mussa sono quintessenze formali, poesia visiva, esistenzialismo pittorico senza figure umane.» L’intento di questa particolare ricerca dell’artista non è restituire una catalogazione dell’architettura dei teatri italiani, quanto rivivere e restituire un’esperienza personale attraverso il gesto artistico: «Un lavoro di rigore e ripensamento – spiega la fotografa –, uno sguardo ad occhi socchiusi, l’innesco di un processo onirico, di smagliatura, di impoverimento, la ricerca di una radice, di un’anima, di un altro significato; una sorta di radiografia, di istantanea retinica o corticale, impressa su un velo sottile.»
La mostra è occasione per Palazzo Reale, di ricordare il Teatro di Corte che si trovava al suo interno. Fu proprio in seguito alla sua distruzione, causata da un incendio, che Maria Teresa d’Austria decise di non ricostruirlo all’interno della residenza reale ma di “donare” un nuovo teatro alla città. Fu così rasa al suolo la chiesa di Santa Maria della Scala e sull’area fu costruito, su progetto del Piermarini, il Teatro alla Scala, inaugurato nel 1778 e giunto nella sua bellezza fino a noi. In mostra, si ammirano quindi la maquette del Teatro di Corte di Palazzo Reale, una grande maquette dell’originario arco scenico del Teatro alla Scala e una maquette dell’intero complesso, grazie al prestito dal Museo del Teatro alla Scala, e rare incisioni d’epoca, in prestito dal Gabinetto delle Stampe del Castello Sforzesco.