“Goya. La ribellione della ragione” promossa dal Comune di Milano-Cultura e prodotta da Palazzo Reale, in collaborazione con la Real Academia de Bellas Artes de San Fernando a Madrid e con il patrocinio dell’Ambasciata di Spagna in Italia è curata dal Professor Víctor Nieto Alcaide, Delegato Accademico del Museo, Calcografia e Mostre della Real Academia de Bellas Artes de San Fernando, Madrid.
Attraverso una settantina di opere, il percorso propone al visitatore i dipinti del Maestro esposti in confronto con alcune delle più importanti incisioni che resero Goya maestro assoluto di quest’arte. Per la prima volta si potranno ammirare le lastre di rame post restauro, nei loro originari dettagli ritornati alla luce e a confronto diretto con le stampe.
Pittore della monarchia spagnola, artista colto e accademico, Francisco José de Goya y Lucientes (1746-1828) è stato uno dei grandi protagonisti dell’arte spagnola del XVIII e XIX secolo. Iniziò il proprio percorso con opere legate ai temi tradizionali, cari alla committenza, ma nel tempo il suo approccio alla pittura fu progressivamente modificato da una lucida interpretazione etica e morale della società spagnola del tempo, che lo portò alla critica del potere politico e religioso attraverso la satira sociale, alla rappresentazione della crudeltà della guerra e al sentimento di pietas verso gli emarginati, i poveri, i malati mentali. In sintonia con la complessità storica che si trova a vivere, sperimentò dunque una rivoluzione: un cambiamento che espresse sia attraverso le immagini, sia trasformando la pittura in un linguaggio nuovo, in grado di rompere con le regole e l’imitazione dei modelli.
La pittura di Goya trasmigra dalla luce al buio, dalla pittura luminosa dei primi tempi alla “pinturas nigras”, una pittura della vecchiaia dai toni cupi, neri: quelli del suo corpo afflitto da una sordità crescente e del suo animo disilluso dalla Rivoluzione francese, da una società becera, che ritrae così satiricamente nei suoi Caprichos, dai disastri e dalle brutture che la guerra d’indipendenza spagnola segna sui corpi e nelle menti dei più deboli e degli emarginati sociali, come dipinti nei suoi quadri del ciclo “I disastri della guerra” o “Il Manicomio” o “Scena di inquisizione”. Una trasmigrazione e un contrasto cromatico che la mostra enfatizza; il colore, le forme, la pittura acquistano un nuovo senso per Goya, e sono scelti non più in funzione della rappresentazione, bensì in funzione dell’espressione. Per Goya il colore diventa un elemento autonomo, non serve alla verosimiglianza del soggetto quanto piuttosto a dare la ‘sensazione’ del soggetto. Il suo nero non è necessariamente buio o male, non è negazione del colore, ma colore che esprime drammaticità. Questo passaggio diventerà fondamentale per la pittura dei posteri, e anche per questo Goya viene spesso considerato un artista-soglia tra due mondi.
Le incisioni, soprattutto, hanno permesso a Goya di agire con quella libertà che non gli era concessa dai committenti delle opere di pittura – nel 1786 diventa Pittore del re, nel 1789 Pittore di Camera del re e nel 1799, addirittura, Primo Pittore di Camera del re -, maggiormente incagliate nella retorica di corte o nel racconto di temi tradizionali.
È alle incisioni che Goya affida il suo pensiero più intimo e libero, e a cui nel percorso di mostra viene data un’importanza speciale. Sebbene non manchino temi di costume, tuttavia, la maggior parte delle sue incisioni costituisce una critica, una ‘ribellione della ragione’ di fronte alla mancanza della ragione stessa nella barbarie bellica. Sono una testimonianza di angoscia, di rifiuto, ma allo stesso tempo un richiamo al ritorno dell’ordine della ragione.