I Club Dogo e la comunicazione politica a Milano

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Di Fabio Massa

Ci sono due livelli di comunicazione ben distinti. Uno è quello che attiene agli specialisti, a quelli che prevedono le curve, che osservano come fosse un grafico di borsa in tempo reale ogni minima salita e discesa della politica cittadina. L’altro è quello che si rivolge a chi distrattamente guarda la tv la sera, e – per tornare alla metafora borsistica – vede sinteticamente se la borsa va su o va giù, ma se lo scorda subito. Ecco, la comunicazione politica cittadina segue più o meno le stesse regole. Ovviamente chiunque a Milano è consapevole della realtà “media”. Sa che c’è un problema sicurezza, che è oggettivo, perché lo vede tutti i giorni. Sa che non ci sono i vigili in strada, perché anche se ci fossero sarebbero comunque pochi, e comunque non ci sono. Sa che c’è un problema inquinamento, anche se poi non sa assolutamente dire se il problema sono le auto oppure le caldaie. Sa che le bici sono belle, non inquinano ma d’inverno si piglia freddo e pioggia e quando bisogna girare in Corso Buenos Aires c’è di che stare attenti perché sennò stiri qualcuno. Ecco, questa è la comunicazione politica per la gente normale, che poi è quella che va a votare. Quella stessa gente guarda per 10 milioni di volte (diecimilioni!) il video dei Club Dogo con il sindaco Sala. Non collega minimamente quel video al tema della sicurezza a Milano. Lo legge non per quel che potrebbe rappresentare, ma per quel che è: una produzione artistica. Quella stessa gente non legge giornali, non legge cronache locali se non i pezzi di nera. Quella stessa gente non è classe dirigente ma classe media. Percepisce che c’è una città che è sempre più esclusiva ed escludente, ma non sa esattamente di chi è la colpa. Questo non toglie che i problemi rimangano, e che la politica dovrebbe provare a risolverli, senza arrendersi e senza dare gli uni la colpa agli altri.

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