Addio all’insegnante, il trauma ripetuto per i nostri figli

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Di Fabio Massa
I bambini sono tutti un po’ emozionati perché domani comincia la scuola. Elementari e mediae, in Lombardia. Come ogni anno stasera metteranno in cartella tutto quello che occorre, e i più disciplinati prepareranno i vestiti sulla sedia, bene ordinati. Domattina usciranno di casa con i genitori che hanno potuto prendere un permesso al lavoro. Entreranno in classe, rivedranno i compagni dopo l’estate lunga e afosa. E ritroveranno le maestre. Anzi no. No, non le ritroveranno. Non tutte almeno. Perché anche quest’anno, come tutti gli altri anni, in un sacco di classi mancheranno gli insegnanti di ruolo. Discorso annoso, pare di difficilissima risoluzione nel mondo ipersindacalizzato della scuola. Eppure è di semplicissima comprensione, una volta afferrato il concetto. La maggior parte delle cattedre sta a nord, perché la maggior parte dei bambini sta a nord. A nord il costo della vita è assai più alto, e in alcune città, come Milano, è decisamente folle, da pazzi. Ma lo stipendio degli insegnanti è sempre lo stesso. Così la cifra che garantisce una esistenza dignitosa ma senza scialare al sud, garantisce la fame e il vivere sotto i ponti al Nord. Mettici pure la famiglia e il richiamo dei luoghi d’origine e avrai quello che accade tutti gli anni: onde di docenti che dopo aver vinto il concorso al Nord tornano a casa, nel Meridione. Hanno ragione? Probabilmente sì. Questo però genera il fatto che ci sono ondate di precari che ricoprono le cattedre del Nord, un anno e via. E i bambini? I bambini cambiano insegnante tutti gli anni, perdono legami, sono disorientati. Problema complesso. Ma in effetti è tanto, tanto semplice. Basta legare lo stipendio degli insegnanti al costo della vita dei vari territori. E poi, dopo che hanno avuto gli aumenti previsti, obbligarli a rimanere dove hanno vinto il concorso per un periodo lungo. Perché i bambini vengono prima di tutto e di tutti. Oppure no?

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