Dopo il caso camici, forse è meglio smettere di copiare. Il commento

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Di Fabio Massa

Dobbiamo smetterla di avvelenare i pozzi. Anche perché gli italiani, ormai, si sono abituati a non bere più la nostra acqua. Il tema è ovviamente legato al nostro mondo, al mondo dell’informazione. Iniziamo a sgombrare un po’ il campo: è giusto fare giornalismo d’inchiesta? Sì, perché è il più nobile, il migliore. Ci sono stati, nel nostro passato, bellissimi esempi di giornalismo d’inchiesta. Era quel tipo di giornalismo, prima di Tangentopoli, che non solo non stava a rimorchio di Procure e forze dell’ordine, ma che se era il caso  guardava con sospetto non solo la politica, ma anche il potere giudiziario. Basti guardare al caso di Pinelli, e a mille altri. Ci sono inchieste ovunque ancora oggi, e molto belle. Corrette. Specialmente nel mondo della finanza, dove è lo studio dei numeri e dei bilanci a fare la differenza. Da un bel po’ di anni, invece, i giornalisti hanno scelto la via più semplice. C’è una inchiesta, le carte dell’inchiesta vengono rese pubbliche o dai magistrati o dagli avvocati o dalle forze dell’ordine. Se lo scoop è magistrale (per modo di dire), le carte sono pure secretate, e quindi arrivano o da procura o da forze dell’ordine. Perché lo fanno? Gli avvocati perché oggi ti do una carta su questo, domani mi tratti bene un altro cliente sulla stampa. La procura e le forze dell’ordine semplicemente perché la notorietà è un modo per fare carriera. In tutto questo gli italiani sanno perfettamente che le inchieste giornalistiche montate su carte delle procure valgono quel che valgono. Il caso camici, di Attilio Fontana, ne è la dimostrazione lampante. Tre anni di pestaggio a reti unificate, con tutti i giornali schierati (tranne pochi, tra cui noi), a dire che il governatore aveva fatto fare affari alla propria famiglia. Intercettazioni, interrogatori a nastro, merda nel ventilatore. I verbali, immancabilmente, resi noti. Niente di nuovo. Dopo tre anni finisce tutto in niente. Proscioglimento pieno. E Fontana viene rivotato a furor di popolo, segno che la gente se ne è fregata altamente.

E sulla questione dei soldi in Svizzera? Ecco, “oddio, la Svizzera non risponde dobbiamo proscioglierlo”. Ma Fontana manda i suoi legali in Svizzera, ottiene i documenti, e quando lo prosciolgono i giudici dicono che ha chiarito anche oltre il dovuto. Risultato: nelle prime pagine dei principali quotidiani la notizia è o scomparsa, oppure in taglio talmente basso da risultare invisibile. Sia quella della Svizzera, sia quella dei camici. Stesso identico discorso per i genitori di Matteo Renzi, processati per 10 anni e poi assolti. Ora, a tenere banco, sono altre inchieste giornalistiche, che in effetti sono copiatura con la carta carbone delle carte della Procura, ovvero i casi La Russa e Santanché. Viene da rilevare che qualcuno ha tanto strillato contro la legge Cartabia che avrebbe messo il bavaglio ai giornalisti. Stante la mole di intercettazioni che sta venendo fuori sul figlio del presidente del Senato direi che di rischi di libertà di stampa non mi pare ce ne siano granché,  perché se ne stanno fregando tutti altamente e tutti pubblicano tutto. Al massimo, continuo a rilevare che il rischio non è la libertà di stampa, ma la libertà della stampa di fare qualcosa d’altro che non sia copiare roba scritta nei Palazzi di Giustizia.

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