Di Fabio Massa
La Regione Lombardia (e la Regione Lazio) sulla vicenda del patrocinio al gay pride sbagliano. E sbagliano di grosso. Sono errori politicamente rilevanti perché impostati solo e unicamente in un senso politico. La motivazione, e vale per entrambe le istituzioni governate dal centrodestra, è la seguente: visto che il Gay Pride è un momento in cui prevalentemente si ritrova la sinistra. Visto che quest’anno ha una connotazione di contestazione al governo. Visto che quest’anno c’è l’argomento avvelenato dell’utero in affitto (per inciso: una porcheria che andrebbe elevata a reato internazionale non dall’Italia ma dall’Onu, al pari della tratta delle schiave). Visto tutto questo, allora le amministrazioni non danno il patrocinio. Peccato che questo vada esattamente a favore del fatto che il Gay Pride si trasformi in una parata di una sola parte politica. Invece il Gay Pride è l’orgoglio di poter essere se stessi. Nel resto del mondo anche gli etero sfilano con la comunità, in base a un principio assai semplice: puoi votare quel che vuoi, ma devi essere libero di essere quel che sei. E allora, in una Regione come la Lombardia dove la libertà e l’indipendenza sono tutto, dove i liberali sono stati l’anima dello sviluppo non solo di Milano ma anche di Brescia e Bergamo, e delle altre grandi città, come si fa a dire no al patrocinio al Gay Pride?
Fin qui, la motivazione è ideale. Ci sarebbe poi una motivazione squisitamente politica. Giorgia Meloni ha detto che gli artisti non sono tutti di destra (e infatti, tra opportunisti e non, qualcuno inizia a vedersi anche tra quelli noti). Anche i gay non sono tutti di sinistra. E allora, perché mostrarsi distanti da una legittima rivendicazione di libertà? Di questo passo finirà come il Primo Maggio. Da festa dei lavoratori (sì, pure quelli che votano a destra e sono di destra), diventerà la festa della sinistra radicale. Non bene.