Di Fabio Massa
La banalità del male che non fa notizia. Ieri al processo sul crollo del Ponte Morandi l’allora amministratore delegato della holding dei Benetton Gianni Mion ha ammesso che i vertici erano a conoscenza di un errore di progettazione fino dal 2010. Insomma, quelle 43 persone che sono morte si potevano salvare se solo quell’errore fosse stato corretto. Invece, e attenzione perché questa è l’essenza dell’Italia, ovvero un Paese basato sul pararsi il sedere, Mion racconta che la prima cosa che ha chiesto è stata se qualcuno poteva certificare la sicurezza del ponte. Insomma: un pezzo di carta che certificasse che era tutto a posto, non un controllo per accertare che fosse davvero tutto a posto. E la risposta del direttore generale è stata ancora più incredibile: ce lo autocertifichiamo. Ovvero, facciamo noi da soli e così a livello di carta stiamo tutti apposto. A quella riunione c’era anche Gilberto Benetton, dice Mion. Nessuno ha fatto niente, tutti si sono fidati del direttore generale che ha autocertificato che tutto andava bene malgrado ci fosse nero su bianco un difetto di progettazione che rendeva il ponte pericoloso. Ma la cosa ancora più incredibile è il fatto che a certificare la sicurezza era chi gestiva l’autostrada, e non un ente terzo. Un po’ come dire a un oste di controllare se il vino è buono. Invece quei geni dei governi di allora avevano fatto in modo di vendere la società che doveva controllare sulla sicurezza ai Benetton, che erano quelli che dovevano garantire la sicurezza. In pratica, era tutta una grande autocertificazione. Pensate che schifezza, nella quale c’è una responsabilità dei Benetton e c’è sicuramente anche una responsabilità politica di chi si immaginò una porcheria del genere. Ma non è finita. Perché Mion confessa di non aver detto niente, di non aver fatto niente. “Tenevo al mio posto di lavoro”, ha dichiarato. E con questo, su questa miseria umana complessiva, tipicamente italiana, si può far calare il sipario di vergogna che si merita.