Di Fabio Massa
Ieri sera alla Fondazione Stelline ho assistito al varo di un premio giornalistico in onore di Almerigo Grilz, organizzato dal Centro Studi Primo Articolo. Ho ammesso con gli organizzatori, non senza un pizzico di vergogna, di non conoscere il nome di questo collega, morto a soli 34 anni sul campo, nel 1987, mentre cercava di documentare gli scontri tra ribelli e governativi in Mozambico. Grilz era infatti un inviato indipendente di guerra. Fu un innovatore: infatti fu il primo a produrre non solo cronache scritte dai teatri più sanguinosi del globo, dall’Afghanistan al Libano alla Cambogia, ma anche e soprattutto a produrre autonomamente foto e video. Di fatto, un giornalista moderno, contemporaneo. I suoi video sono stati comprati dalla Cbs, le sue foto dal Sunday Times, e il suo nome era conosciuto nelle redazioni di mezzo mondo negli anni ’80. Colpa mia, non conoscere la sua storia oggi. Una scusante però ce l’ho: di Almerigo Grilz non si parla in nessun libro di storia del giornalismo che si studia per l’esame di idoneità professionale e l’iscrizione all’albo dei giornalisti professionisti. Non si fanno se non rari convegni organizzati da chi ha lavorato con lui e lo ammirava. A Trieste, sua città natale, passò quasi sotto silenzio l’assenza del suo nome da una lapide dedicata ai cronisti morti sui campi di battaglia. La motivazione è semplice: Grilz era un militante di destra, aveva militato nella destra. Toni Capuozzo ieri l’ha riassunta così: “Avendo un’idea diversa, è stato dimenticato”. Non c’è molto altro da dire.