Di Fabio Massa
Tutta la vicenda, se non fosse costata anni di vita e svariate decine di migliaia di euro di indagini – oltre a un martellamento asfissiante – potrebbe anche far ridere. Un gruppo di italiani (pare l’inizio di una barzelletta), leghisti, si ritrova nella hall di un albergo russo, il Metropol, per parlare di una maxitangente che l’Eni dovrebbe pagare per finanziare con soldi sporchi il Carroccio. Questi quattro fenomeni vengono intercettati e la notizia esce su BuzzFeed (che recentemente ha smantellato la sezione “news” e torna ad occuparsi di gattini). Ovviamente parte un’inchiesta, nella quale però viene accertato fin da subito che né l’Eni, né Matteo Salvini ne sanno niente. Quindi, ricapitolando: ci sono quattro persone di cui due non identificate, attorno a un tavolo che parlano di una maxitangente a favore di un partito, il cui capo non sa nulla, che dovrebbe pagare una azienda nella quale nessuno sa nulla. Questo è il riassunto del caso dei fondi russi alla Lega. Poi mettiamoci anche che il perno di tutto è Gianluca Savoini, ovvero uno che mezza Milano conosce, e che mezza Milano sa perfettamente non essere neppure in grado di concepire una mazzetta da mezzo miliardo di euro. E’ proprio una questione di capacità, ancor prima dell’onestà. Stesso identico problema di Roberto Jonghi Lavarini, altra inchiesta lanciata nel frullatore della politica. Lo conoscono tutti, e tutti quelli che lo conoscono si sono messi a ridere di fronte alle accuse di essere il capo della “spectre nera”. Archiviato pure lui, ovviamente. Per tutti gli altri, invece, i due si sono trasformati o in mostri o – e questo è più inquietante – mezzo di battaglia politica. E infatti ieri, quando finalmente è arrivata l’archiviazione dopo quattro anni (quattro anni!), tutta una serie di persone che hanno usato il caso di Savoini, ha badato bene a rimanere in silenzio. Siamo un Paese così, a volte molto crudele. Majorino, esattamente un anno fa, a Fanpage dichiarava sicuro che Salvini non buttava Savoini fuori dalla Lega perché “aveva qualcosa da nascondere”. Che cosa, a questo punto non lo sapremo mai. Certo, nella sentenza c’è scritto che la tangente non si è mai realizzata e che per questo non c’è prova di nulla, e quindi come al solito c’è chi la leggerà come una condanna senza condanna e chi come una assoluzione piena. La verità è che nel mondo civile quando non ci sono prove si è innocenti. Negare questo vuol dire essere fascisti, e il 25 aprile è appena passato.
Ma se il caso è triste, per molti versi – a partire dal fatto che in un Paese civile non si può aspettare 4 anni per un giudizio (e conosco un ex sindaco che aspetta da 10 anni, figuratevi…) – ci sono addirittura degli aspetti incredibilmente comici. Nel 2019 il vicesindaco di Alassio Galtieri, riferendosi a Savoini (che è nato appunto ad Alassio), affermava sicuro che “con Alassio non ha nulla da spartire. Potrebbe essere nato occasionalmente qui, ma è di Laigueglia”. Occasionalmente, capito? Si arriva addirittura a negare il diritto di nascita e neanche per una condanna, ma per una indagine. A volte l’Italia sa essere crudelmente ironica.