Soumahoro, Galli, e altri mostri temporanei

Sia mai che qualcuno si ricordi che Galli e Soumahoro li abbiamo sostenuti, un tempo. Anche il sostegno dura il tempo di un like. // di Fabio Massa

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Brutta vita, in questo periodo, quella dei social media manager. Sia ben chiaro: da queste parti siamo rigidamente garantisti. Ma non è così dalle parti di buona parte della sinistra militante e anche della destra di retroguardia (e pure in pezzi della Lega, quelli che sventolarono il cappio durante Mani Pulite). Insomma, se il garantismo – che vuol dire che nessuno è colpevole finché non è dichiarato colpevole – è un po’ a macchia di leopardo, allo stesso modo è il giustizialismo, che come enunciò il fresco sposo Davigo riguarda gli innocenti che sono solo colpevoli che l’hanno fatta franca.

Il caso Massimo Galli

E qui, dunque, parliamo di due casi della sinistra. Casi emblematici, perché eletti a idoli. Il primo è Massimo Galli. Ve lo ricordate? Vi ricordate il suo ghigno arcigno in televisione mentre annunciava in quel drammatico 2020 la “battaglia di Milano”. Mentre attaccava frontalmente la Regione Lombardia, che pure era quella che lo aveva voluto nella cabina di regia (poi, ne è uscito), per le decisioni prese. Mentre attaccava la destra.

Mentre si dichiarava fieramente comunista. Mentre veniva invitato a parlare di tutto lo scibile umano a partire dal Covid perché ormai “volto noto”. Ecco, c’era chi – a sinistra – lo invocava come possibile “candidato sfidante di Attilio Fontana”. Beh, per Massimo Galli l’irreprensibile è stato richiesto il rinvio a giudizio per una questione inerente un concorso universitario. Qui non parliamo della vicenda perché Massimo Galli, per noi, è innocente. Ma quale incredibile contrappasso per chi lo voleva opposto al “malfattore Fontana”, ai tempi alle prese con un sacco di inchieste finite miserrimamente in nulla.

Massimo Galli l’eroe contro Fontana il cattivo. Dopo due anni, la situazione non pare esattamente la stessa e ci si immaginano già i social media manager andare indietro in quella maledetta timeline per rimuovere gli apprezzamenti, gli elogi pubblici. Perché il giustizialismo è così: retroattivo.

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