Di Fabio Massa
Finalmente comincia la campagna elettorale. Tutto è andato come il Partito Democratico voleva andasse: candidato unitario e senza primarie. Si chiama Pierfrancesco Majorino, e a Milano lo conoscono tutti. Radicale sui diritti, rappresentante di una sinistra che dialogherebbe volentieri con il Movimento 5 Stelle e molto più difficilmente con il Terzo Polo. Scelta identitaria, quella del Pd regionale. Cerca di blindarsi a sinistra, e così facendo mette in difficoltà anche i pentastellati perché si piazza sulla stessa piastrella di voti: quelli della sinistra-sinistra, lasciando più libera la casella centrale a Moratti&Gelmini. Intanto Pierfrancesco Maran incassa un altro no del partito, e parrebbe anche diventata una abitudine se non fosse che questo no è arrivato dopo una battaglia non personale che ha convinto tantissimi che qualcosa non andava, a livello di gestione della cosa. Il partito si è spezzato, e adesso è responsabilità anche di Maran cercare di ricomporlo. Majorino lo sa: senza Maran rischia di perdere tutta una serie di elettori di centro-centrosinistra che sono comunque attratti da Calenda e Renzi. Per questo ci si immagina una prima opera di pacificazione. Poi, inizierà la campagna. Sarà durissima, perché il tempo è poco e i toni si devono innalzare immediatamente. Majorino attaccherà probabilmente sulla gestione della pandemia, e lo farà mostrando i denti, riportando alla memoria i problemi del 2020. Così facendo prenderà due piccioni con una fava: contro Fontana e contro Moratti. Sul fronte opposto il governatore sta alla finestra, preparando la sua, di campagna. Molto sui temi, molto pacata, con poche polemiche. E’ in discesa, e se la può vivere serenamente. Tornando con la memoria al 2020, alle liti con Conte, al pestaggio quotidiano sui giornali, pare quasi impossibile.