Usura, estorsione e spaccio: 7 arresti tra Milano e Pavia

Le indagini hanno consentito di disvelare un complesso meccanismo fraudolento incentrato su una vera e propria "vendita di denaro" da parte di alcuni degli indagati che consentiva da un lato di poter camuffare dei prestiti di tipo usuraio o delle vere e proprie estorsioni e dall'altro di lucrare sul fisco o sullo sfruttamento di manodopera in nero.

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La Polizia di Stato, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Milano, sta eseguendo nelle province di Milano e Pavia, diverse misure cautelari nei confronti di soggetti ritenuti responsabili a vario titolo di usura ed estorsione, aggravata dal metodo mafioso, spaccio di sostanze stupefacenti ed emissione di fatture per operazioni inesistenti. L’indagine ha, ancora una volta, rafforzato il recente trend criminale emerso in numerose inchieste in base al quale le organizzazioni mafiose, in un’ottica imprenditoriale, prediligono la penetrazione del tessuto economico-commerciale, anche avvalendosi di attori del settore compiacenti e disposti ad alterare le regole del libero mercato. Le investigazioni, sebbene ancora nella fase delle indagini preliminari, hanno consentito di disvelare un complesso, quanto redditizio – si stima che in totale il giro di affari legato alle sole emissioni di false fatture ammontasse a diversi milioni di euro – meccanismo fraudolento incentrato su una vera e propria “vendita di denaro” da parte di alcuni degli indagati che consentiva da un lato di poter camuffare dei prestiti di tipo usuraio o delle vere e proprie estorsioni e dall’altro di lucrare sul fisco o sullo sfruttamento di manodopera in nero. L’attività in questione ha sviluppato le risultanze raccolte dalla locale Divisione Anticrimine la quale, nel 2019, ha disvelato un articolato sistema di artifizi contabili consistente nella emissione di false fatture da parte di ditte che fungevano da mere cartiere ossia società fantasma non operative. A seguito di tali accertamenti il Tribunale di Milano – Sezione Misure di Prevenzione aveva emesso un decreto di sequestro a carico di uno degli attuali indagati, risultato affiliato all’ndrangheta in particolare all’articolazione della locale di Giussano (MB), direttamente collegata alla locale di Guardavalle (CZ), quale gestore di fatto, attraverso una serie di prestanome, di società cartiere che emettevano false fatturazioni al fine di mascherare altre operazioni ed attività illecite. Oltre a quanto emerso dalle attività della locale Divisione Anticrimine, gli investigatori della Squadra Mobile, coordinati dalla Direzione Distrettuale Antimafia, hanno raccolto le dichiarazioni di due presunte vittime di usura da parte del medesimo indagato destinatario del provvedimento di sequestro. Lo stesso approfittando delle difficoltà economiche delle vittime, avrebbe loro prestato ingenti somme di denaro, nell’ordine di migliaia di euro, a tassi di interesse usurario, variabili tra il 10% e il 30% mensili, che, qualora non restituiti avrebbero determinato delle pesanti conseguenze nei loro confronti. Il complesso meccanismo illegale sin qui svelato dall’inchiesta giudiziaria, ha visto operanti due gruppi di correi, un tempo omogenei, che, dopo i primi provvedimenti del Tribunale di Milano, si erano scissi mantenendo, tuttavia, il medesimo modus operandi per cui, a fronte di richieste di piccoli imprenditori in difficoltà o con esigenze di retribuire personale assunto irregolarmente o per evadere il fisco, si rivolgevano agli indagati per ricevere somme di denaro in contante che venivano poi restituite sotto forma di assegni o bonifici a fronte di emissione, da parte delle ditte cartiere, di false fatture. Le somme bonificate venivano a loro volta girate su altri conti e, infine, al termine di una complessa catena di bonifici atti a camuffare l’origine delle somme, esse venivano prelevate con cadenza pressoché giornaliera da alcuni degli indagati deputati al ruolo di “prelevatori” per il quale percepivano uno vero e proprio “stipendio” come se si trattasse di un lavoro stabile. Infine, le somme prelevate ritornavano agli originari prestatori. Un giro di affari che, nel solo periodo d’indagine, circa un anno, ha consentito di documentare prelievi per circa 7 milioni di euro e dà la misura di come la criminalità organizzata sfrutti, a fini illeciti, i meccanismi che normalmente regolano l’economia. Il gruppo era in grado di accumulare ingenti capitali in contanti tanto da avere difficoltà nel reperire luoghi sicuri dove poter nascondere il danaro. Gli stessi erano soliti usare un gergo convenzionale, per definire le cessioni di buste di danaro, utilizzando termini legati all’oggetto sociale delle ditte cartiere tra cui “astucci o bancali”. Le operazioni, tuttora in corso, vedono impegnati decine di poliziotti, anche della Squadra Mobile di Pavia, che stanno dando esecuzione, oltre ai provvedimenti restrittivi, a delle perquisizioni ed al sequestro preventivo di somme di denaro presenti sui conti correnti di alcuni degli indagati. Dei dieci indagati, tre sono stati portati in carcere, altri quattro sottoposti agli arresti domiciliari e uno sottoposto alla misura dell’obbligo di presentazione alla PG.

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