Diasorin, altro colpo alla Procura. Camici, decide la gup del caso Maroni

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di Fabio Massa

Alla fine avranno vinto loro. Perché la gente ha la memoria corta, anzi cortissima. Io no, però. Perché a quel tempo c’erano tutti i giornali – compattissimi e guidati dai soliti forcaioli – all’attacco della Lombardia, e ben pochi a tenersi prudenti sulle accuse. Ricordiamolo: all’inizio della pandemia i volti di Fontana e Gallera erano i più rassicuranti dell’intero panorama. In fondo, avevano azzeccato la previsione delle mascherine mentre gli altri facevano la notte delle bacchette (due anni fa, circa), si lamentavano perché non potevano fare gli spettacoli a teatro (Scanzi, ovviamente), e si contagiavano facendo aperitivi antirazzisti (l’antirazzismo era l’unica cosa giusta, l’assembramento no, caro Zingaretti). Però, da maggio 2020 inizia a cambiare tutto: la Lombardia diventa la regione infetta e i governanti della gente corrotta che si sta rubando tutto. Mille le accuse. Su tutto. I giornali si sono riempiti, giorno dopo giorno, e nutriti delle tesi accusatorie dei pm. Resistere alla tentazione di accodarsi è stato difficilissimo.

C’è stata l’inchiesta sulle mascherine Fippi, le famose “mascherine mutandina”. Come è finita? La procura ha richiesto l’archiviazione trasmettendo gli atti alla Corte dei Conti. Insomma: nessun reato penale. C’è stata l’inchiesta sul fatto che in Regione avrebbero spedito i malati di Covid nelle Rsa. Una cosa talmente incredibile che infatti non era vera: la Procura chiede l’archiviazione. Sì, poi nelle motivazioni sfuma, dice, ipotizza. Ma di reato non ce ne è, altrimenti avrebbero proseguito le indagini. C’è stata l’inchiesta sulla mancata chiusura della Val Seriana. Ieri – nel silenzio più assoluto – Manuela D’Alessandro dell’Agi ha pubblicato una notizia esclusiva nella quale si rivela che l’esercito ha mandato le truppe per chiudere la bergamasca, ma che non esiste un atto governativo con l’ordine di andarci. Insomma, l’esercito è andato là così, di sua iniziativa. La Lombardia non c’entrava ovviamente niente. Poi c’è stata l’inchiesta (doppia eh, si sa mai che una procura sola basti) su Diasorin. In pratica si accusava la Regione di aver fatto cose poco lecite facendo variare il prezzo del titolo della società in Borsa (una roba che qualunque analista si mette a ridere) annunciando l’arrivo di test attendibili sul mercato. Riassunta male, ma non conta l’accusa: conta il fatto che ieri su Diasorin la Procura chiede l’archiviazione. Prima o poi dovremo riflettere sul fatto che manco più se le fanno bocciare dal giudice, le inchieste. No no, direttamente prima si sollevano i casi e poi si chiedono le archiviazioni. Il che, francamente, sembra incredibile perché intanto il danno di immagine è stato fatto.

Intere carriere giornalistiche, in questi due anni, si sono formate sulla pelle della politica lombarda. Ci sono giornali che hanno fatto scoop su scoop (ovvero, recepito le carte dei magistrati), sulla pelle della politica lombarda. Rimangono aperti tre filoni. Quello pavese su Diasorin (ma Milano archivia e Pavia tiene aperto? Boh, stranezze), l’inchiesta sull’Ospedale in Fiera (che intanto ha fatto tempo a chiudere e tra poco a riaprire, e nel frattempo a vaccinare mezza Lombardia), e le due su Fontana. La prima riguarda i soldi in Svizzera, della mamma: la Svizzera ha detto no alla rogatoria chiesta dai Pm di Milano. Perché? La spectre? L’influenza internazionale di Fontana? O forse perché essendo una nazione seria ritiene che non ci sia reato? E senza la rogatoria, si può anche dire che pure su questo procedimento difficilmente si andrà avanti. Infine, rimangono i camici. Ecco, i camici. Non stiamo a ripetere la storia perché la conoscono tutti. Per Fontana è stato chiesto il rinvio a giudizio, e sarà rinviato a giudizio a marzo, precisamente il 18, dalla gup Chiara Valori. Non vuol dire niente, ma è importante vedere alcuni precedenti con la politica lombarda: è lo stesso giudice che ha recepito la richiesta di giudizio immediato per Roberto Maroni (processo dal quale uscirà pulito), ed è lo stesso giudice che condanna Christian Malangone, oggi dg del Comune di Milano e ieri dg di Expo, poi assolto in secondo grado. Come scrivemmo allora, si meritava una medaglia e gli diedero una condanna, per fortuna ribaltata in appello. Insomma, sui camici la strada è in salita, per il governatore. Ma il processo è lungo, e chissà.

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