C’è qualcosa che mi insospettisce, quando tutti lanciano allo stesso momento lo stesso allarme. Intendiamoci: sicuramente siamo arrivati a un punto di non ritorno sul clima. Non è difficile capire che l’emergenza c’è, ed esiste. E dunque sono contento, a scanso di equivoci, che si stia agendo (o che comunque ci sia una volontà di agire) per cercare di cambiare le cose. Però mi corre l’obbligo di un però.
Però come si fa a definire un successo (va bene che Draghi è bravo, ma non cammina sulle acque) il fatto che i paesi più inquinanti smetteranno (forse) di inquinare quando noi saremo se non già morti e sepolti, perlomeno non più giovincelli? L’India prevede emissioni zero nel 2070. Cioè quando io avrò circa 90 anni. Draghi sarà un lontano ricordo, per allora. E si tratta di previsioni eh. Dall’11 settembre 2001 ad oggi, in 20 anni, ci sono toccati un’emergenza globale terrorismo, qualche decina di guerre e forse di più, almeno una ventina di tifoni, incendi a gogo, una crisi economica disastrosa e una pandemia. Figurarsi nei prossimi 50 che cosa potrebbe succedere. Ma il problema sono i media: come si fa a definire un successo una roba che fa venir voglia di dar ragione a Greta? Bla bla bla.
Ma il punto non è solo questo. Io appartengo a una generazione, anzi, alla prima generazione perché prima se ne fottevano altamente proprio quelli che poi sono venuti a fare le pulci a noi, appartengo a una generazione che ha iniziato a capire che i debiti di bilancio sono un problema. Il debito pubblico. Abbiamo tagliato tutto, e in particolare la sanità, per anni. Ci hanno tagliato fuori dal mondo del lavoro perché il sistema non reggeva più, con il welfare state più caro del mondo. Non c’erano soldi. Non ce li davano, non ce li dava nessuno. Ci hanno detto che i nostri genitori e i nostri nonni, che poi erano quelli che ce lo dicevano, dall’alto del loro posto garantito, della loro pensione garantita, eccetera eccetera, ci hanno detto che non c’erano soldi. E ce lo dicono ancora: infatti l’età della pensione avanza. Ce lo dicono ancora: infatti la povertà si annida in quartieri sempre più disperati. Hanno investito poco sulle strutture scolastiche, poco sulla scuola, non hanno riformato il sistema dell’istruzione: solo in Italia c’è il caso che gli insegnanti ci siano ma non dove ci sono i bambini, e in intere regioni le cattedre restano scoperte. Hanno investito niente sulla giustizia, e hanno lasciato mano libera alle correnti. Non c’erano soldi, non c’erano soldi. A Bari il palazzo di giustizia nel 2018 è stato trasferito in un tendone perché crollava a pezzi. Non c’erano i soldi per sistemarlo. E adesso, oggi, leggo sui giornali: “I soldi ci sono, bisogna spenderli”. I soldi ci sono? I soldi ci sono? Ma perché ci sono oggi, dopo due anni di pandemia che avrebbero dovuto mettere l’economia in ginocchio e non c’erano ieri quando è stato massacrato il nostro Paese? O li stiamo prendendo a debito e allora no, non ci sono quei soldi neppure questa volta? I soldi ci sono per chi? E da dove arrivano? Questa semplice domandina vogliamo fargliela? Perché non vorrei essere io il genitore, come il mio prima di me, dall’alto della mia pensione a quota 120, ovviamente, a dire a mio figlio che la sua non ci sarà neppure a quota 200 (avessero inventato nel frattempo il siero dell’immortalità). Non vorrei essere io, proprio no.