Milano, Salvini prova a chiudere. Ecco tutti i timori del “Capitano”

Domani Salvini cercherà di arrivare a una conclusione della telenovela sui candidati sindaci di Milano e Roma. Un incrocio in cui molti sono i rischi // di Fabio Massa

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E così, secondo rumors, sarà domani il giorno in cui Matteo Salvini cercherà di arrivare a una conclusione della telenovela sui candidati sindaci di Milano e Roma. Ha visto Oscar Di Montigny, così come anticipato da Affaritaliani.it Milano. Sta parlando moltissimo con Silvio Berlusconi per la federazione del centrodestra. Del resto, secondo rumors, l’unico interesse del Cavaliere è traghettare quanti più possibile sul Carroccio. E Salvini vede la mossa come funzionale a un partito che vuole essere sempre più di governo. Il problema Milano è un problema grosso, da questo punto di vista. E il motivo è semplice, nell’incrocio con la partita della Capitale. Giorgia Meloni insiste per avere il Campidoglio, dove la vittoria non è solo più semplice, ma quasi scontata: sinistra divisa e litigiosa, M5S che ancora sostiene l’insostenibile Virginia Raggi. Dunque, cedere la candidatura alla Meloni vuol dire cedere un territorio di facile conquista, e comunque prima città italiana per dimensione. Prendersi, come farebbe Salvini, Milano, vuol dire caricarsi una sfida difficilissima, con Beppe Sala partito da tempo, i moderati che sono riusciti a trovare un accordo grazie all’abile regia di Gianfranco Librandi, la sinistra balcanizzata e il Movimento 5 Stelle che si dividerà ancor prima di scendere in campo, con Buffagni e Violi a sostenere Sala e gli altri con i cespugli della sinistra. Insomma, Sala è nelle condizioni migliori e qualunque sfidante rischia seriamente di perdere. E quindi? Quindi caricarsi una ipotetica sconfitta su Milano per cedere alla Meloni una quasi certa vittoria, che metta a rischio la federazione del centrodestra appena nata, dalla quale la Meloni è ovviamente esclusa? Salvini sa far di conto, e sa che questo conto è troppo salato. Che cosa succederà domani, dunque, è ancora nell’incertezza più totale. E non è solo una questione di nomi, ma di numeri.

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