La brigata di medici cubani “Henry Reeve” è stata candidata al premio Nobel per la Pace. È intervenuta anche in Lombardia, a Crema, nella fase più acuta dell’epidemia da coronavirus. Attenzione però perché dietro all’apparente e disinteressata solidarietà internazionale c’è ben altro: i soldi. Quelli che servono alla decennale dittatura castrista per restare in piedi. Sì perché Cuba “appalta” i suoi medici e i suoi infermieri in giro per il mondo in cambio di moneta sonante mentre ormai gli ospedali dell’isola caraibica cadono a pezzi e mancano attrezzature e medicine se non addirittura i reagenti per le più banali analisi del sangue. Il mito di Cuba “potenza medica” è solo propaganda. C’è una frase che dicono spesso i cubani: “Tenemos muchos médicos pero no tenemos medicinas”. Abbiamo molti medici ma non abbiamo medicine. Ecco allora che migliaia di medici e infermieri cubani finiscono in giro per il mondo sbandierando solidarietà internazionalista (falsa) mentre alla popolazione locale restano scarsa assistenza e strutture decadenti. E il governo comunista intanto incassa valuta pregiata, i tanto amati dollari dei tanto odiati “gringos”. Secondo il governo cubano, i costi di tali servizi medici all’estero variano in base alle possibilità economiche di ciascun paese e, solo in rari casi, sono forniti gratuitamente. Non è molto noto che l’esportazione di tali servizi sia una preziosa attività commerciale e fonte di profitto per il governo dell’Avana. Nel 2018 Cuba ha guadagnato così 6,2 miliardi di dollari, introito che costituiva la sua più grande fonte di valuta estera (The Guardian, 6 maggio 2020), pari al doppio delle rimesse dei cubani emigrati, superando anche il turismo, terza fonte di reddito in valuta forte. L’anno seguente, nel 2019, i servizi medici rappresentavano il 46% delle esportazioni cubane e il 6% del PIL dell’isola. Verso la fine del 2018, le missioni mediche cubane all’estero hanno comportato l’invio di 28.000 tra dottori e altro personale in 67 Paesi. Mai come nel 2015, con 50.000 professionisti spediti fuori dall’isola prima che i medici cubani fossero espulsi da paesi come Brasile, Bolivia, El Salvador ed Ecuador, dopo che i rispettivi governi avevano svoltato a destra e all’estrema destra, come nel caso di Bolsonaro in Brasile. I medici cubani in missione però ricevono solo il 25% circa di ciò che i governi stranieri pagano all’Avana e la maggior parte dei paesi ospitanti fornisce anche alloggi gratuiti agli ospiti in camice bianco. I medici in missione sono soggetti a una serie di regole che limitano la loro mobilità per prevenire eventuali fughe: il loro compenso viene depositato dallo Stato nella stessa Cuba e devono lasciare i loro coniugi e/o figli “in ostaggio” sull’isola. Inoltre devono consegnare i loro passaporti ai loro supervisori – agenti della famigerata Seguridad del Estado, la polizia politica – non appena arrivano nel paese straniero dove eserciteranno il loro lavoro. La diserzione è pesantemente punita anche con il divieto a chi si ferma all’estero di tornare a Cuba per otto anni. Tuttavia molti medici cubani sono disposti a esercitare all’estero perché il 25% della retribuzione che ricevono è molto più di quanto guadagnerebbero a Cuba. Come ha sottolineato il New York Times del 29 settembre 2017 sui medici cubani in Brasile – 18.000 – l’accordo tra le autorità cubane e brasiliane del 2013 ha permesso a ciascun medico in missione di ricevere 2’900 reais al mese (pari a 1.400 dollari nel 2013 e a 908 dollari nel 2017); un importo molto più alto dei 60 dollari al mese guadagnati in patria. Altro che Nobel per Pace al massimo il Nobel per la Propaganda. E nel caso, chi incasserebbe il premio secondo voi? A Cuba anche le mance ai camerieri vanno allo Stato.
Altro che Nobel per la Pace, i medici cubani all’estero sono oro per il regime comunista
La brigata di medici e infermieri cubani Henry Reeve candidata al Nobel per la Pace. Ma quella del governo castrista non è solidarietà disinteressata bensì un lucroso affare per guadagnare montagne di dollari mentre la popolazione dell’isola ha ospedali fatiscenti e non trova le più basilari medicine. E i soldi di un eventuale Nobel finirebbero al governo.
Buon lavoro