Quello che dicevo ieri sul fatto di convivere con la paura del Coronavirus, e di iniziare accettare come ineluttabile il rischio che anche noi genitori ci ammaleremo perché i ragazzi porteranno in giro la malattia, oggi è al centro di una riflessione ampliata e ancor più interessante di Paolo Giordano sul Corriere. Giordano attribuisce una responsabilità pesante ai mezzi di comunicazione. Dice: “Se a partire da lunedì ogni focolaio acceso a scuola si guadagnerà un titolo a caratteri cubitali, «TUTTI CONTAGIATI A», «ISOLATA LA SCUOLA DI»; se cominceremo con gli allarmi per questo e quello, l’anno scolastico sarà un travaglio”. Qualcuno potrebbe obiettare, con quell’egoismo cinico che fa parte del dna degli imbelli, che allora sarebbe meglio tenere chiuse le scuole. Di certo, sarebbe meglio per gli operatori della scuola, e per i nostri anziani. Ma per i nostri figli no. Per loro sarebbe devastante rimanere a casa un altro anno. I ragazzi vogliono ardentemente tornare a scuola. E ne hanno diritto, anche a costo di mettere a rischio noi. Non si può chiedere ancora una volta a loro un sacrificio. L’abbiamo già fatto noi adulti, insieme ai ragazzi, per i nostri anziani, alcuni mesi fa. L’abbiamo fatto con senso di responsabilità, devastando l’economia nella quale noi combattiamo mentre loro, i pensionati, sono giustamente a riposo. Perché non dovremmo adesso sacrificare la nostra sicurezza per il diritto dei nostri figli? Certo, arriveranno i titoli sui giornali. Soprattutto in Lombardia, dove ci sono più di 10 milioni di persone. Certo, ogni giorno vedremo la scuola vicino a casa nostra chiusa, e poi riaperta, e poi richiusa. Soprattutto in Lombardia, dove ci sono più scuole che in ogni altra parte d’Italia. Si soffrirà e si avrà paura. Ma ci sarà bisogno di conviverci, con quel dolore. Perché i ragazzi non possono pagare ogni conto, vedersi ridotto ogni diritto. E il diritto di andare a scuola è uno dei primi, se non il primo, di ogni civiltà che così si vuole definire.
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