C’è un termine che non mi è mai piaciuto, fino ad oggi. Perché è un termine che per troppo tempo si è associato alle politiche ambientali, sulle quali – ormai da anni – impera il green washing, ovvero una parte di marketing, e troppo poco invece provvedimenti seri che non sono e non dovrebbero essere resilienti, ma rivoluzionari. Quindi, il termine è resilienza.
Sapete che cos’è la resilienza? Secondo il dizionario, è la capacità di assorbire gli urti da parte di un materiale. E il modo migliore per assorbire gli urti non è essere duri, indistruttibili, fermissimi. Il modo migliore è essere elastici, flessibili. Mia nonna aveva un modo tutto suo di dirlo: calati giunco che passa la piena. Ecco, il Coronavirus è un test per la nostra elasticità. Tanto quanto riusciremo ad essere davvero resilienti, ovvero a piegarci rimanendo noi stessi per poi scattare su come molle e tornare alla posizione in cui eravamo una volta finita l’emergenza. Per questo bisogna che la politica prepari il rilancio economico adesso, che siamo piegati. Per questo dobbiamo, a partire da Milano, piegare le nostre abitudini. Un po’ meno socialità, un po’ meno paura, nessuna stretta di mano e niente abbracci. Ce li faremo dopo. Ma neanche rimozione.
Il problema Coronavirus esiste, e di questo dobbiamo parlare. Dobbiamo parlare di quel che abbiamo bisogno per tornare su. Tutto il resto, che sia il referendum o le politiche migratorie, è meno importante. A questo proposito, penso che il Coronavirus sia importante anche per l’Europa. E’ da questi momenti che si capisce la forza e l’utilità di una istituzione. Ad oggi, pare che stia andando in pezzi. Ma io sono di quella generazione che l’Europa era un sogno, tra erasmus, confini aperti e tante opportunità. Vedremo in questa emergenza, e in quella economica che seguirà, se davvero l’Europa avrà recuperato la propria ragione di esistere. Viceversa, il virus ucciderà per prima cosa questo sogno. Per adesso, le avvisaglie non sono buone, devo confessare. Ma c’è tempo per far sentire una voce profonda, unitaria. Come per i matrimoni, siamo nel momento in cui se l’Europa deve parlare (e agire) lo faccia, o taccia per sempre.