I furti nei negozi di vendita al dettaglio costano salati in Europa alle imprese del settore: oltre 49 miliardi di euro all’anno, pari al 2.05% del fatturato. E’ quanto emerge, fra l’altro, dal rapporto ‘Retail Security in Europe. Going beyond Shrinkage’ condotto da Crime&tech, spin-off dell’Università Cattolica del Sacro Cuore-Transcrime, con il supporto di Checkpoint Systems, leader globale nella fornitura di soluzioni from source to shopper per il settore retail. Fra i prodotti più rubati per valore nell’alimentare i primi cinque sono bevande alcoliche, formaggi, carne, dolci e pesce in scatola. Nell’abbigliamento sono accessori, maglieria, pantaloni e camicette, mentre telefoni cellulari e accessori sono in cima alla lista rispettivamente nell’elettronica e tra gli attrezzi di alto valore nei negozi di fai-da-te. L’analisi ha raccolto i feedback di retailer di 11 Paesi. Tra i settori che presentano i più alti tassi di differenze inventariali, gli alimentari (2,0%) e l’abbigliamento (1,4%). Quelli che registrano i tassi più bassi sono invece elettronica (0,4%), bellezza e cosmesi (0,5%) e articoli sportivi (0,7%). Il valore delle differenze inventariali analizzato comprende furti esterni ed interni, ma anche errori amministrativi, uso non conforme, scarti, merci scadute e merci e prodotti freschi danneggiati. I reati più comuni che determinano le differenze inventariali comprendono il taccheggio, i furti commessi dai dipendenti e le frodi. Sono in aumento anche forme fraudolente interne più sofisticate, come falsi vuoti, resi fittizi, e frodi legate alle carte fedeltà. Vengono utilizzate frequentemente anche le borse schermate, che impediscono ai prodotti muniti di etichetta antitaccheggio di essere rilevati dalle tecnologie Eas meno recenti.