Oggi sui giornali ci sono due notizie che riguardano il mondo dei tribunali. Entrambe mi riportano a qualche anno fa.
La prima notizia riguarda il caso Kroll, con Tronchetti Provera che è stato definitivamente assolto dopo 8 anni e tre dibattimenti in appello. Non sto a farvela lunga sul caso, perché è la tipica spy-story all’italiana. Io la seguii, quando emerse, perché mi occupavo di giudiziaria. Una storia da romanzo, e non scherzo. Invece, il fatto che Tronchetti Provera abbia dovuto sostenere un procedimento lungo 8 anni è più che altro una tragedia. Lui se l’è potuto permettere, essendo bastantemente ricco. Ma altri in otto anni avrebbero perso tutto. Certo, la cosa si sarebbe potuta risolvere prima. Come? Ricorrendo alla prescrizione. Ma Tronchetti non ha voluto, perché si riteneva innocente e in Italia, se ricorri alla prescrizione, vieni automaticamente bollato come colpevole.
La seconda notizia riguarda Piercamillo Davigo, che intervistato dal Fatto Quotidiano, sostiene che abolire la prescrizione è cosa giusta, che bisogna permettere di peggiorare le sentenze in appello. Argomento difficile da trattare, me ne rendo conto. Però occorre che su questa cosa tutti ci facciano una riflessione. Perché non è così infrequente finire in tribunale per qualche motivo. Perché si è vittime, o perché si è accusati di qualcosa. Io ci sono finito per le querele, roba normale nel mio lavoro. Le ho sempre vinte. Ne ricordo una nella quale facevo fatica a mettere a fuoco addirittura l’articolo contestato perché l’avevo scritto quattro anni prima. E considerato che sono uno che fa almeno una decina di articoli a settimana (a settimana!), mi veniva difficile ricordare esattamente come fossi arrivato a scrivere quelle cose, dopo altri 2000 articoli. E si trattava in fondo solo di un articolo, per un reato assai minore. Provate a pensare a manager che prendono decisioni complesse, o a politici che vedono migliaia di persone all’anno.
Il problema in Italia non sono i colpevoli che sfuggono alla giustizia. Ma gli innocenti che nella giustizia rimangono impigliati, e intanto le loro vite si consumano aspettando che un giudice abbia finalmente il tempo di occuparsi di loro.