IRON MAIDEN + Tremonti – Galleria Fotografica + Live Report 2018

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IRON MAIDEN “Legacy Of The Beast Tour 2018” (Special Guest TREMONTI + The Raven Age)

09 Luglio 2018 @ Ippodromo Snai – San Siro (MILANO)

Foto a cura di BARBARA CASERTA (Sweden Rock Festival 7/6/2018 + Ippodromo Milano 9/7/2018)

Testo a cura di SIMONE SCAVO

WOE TO YOU, OH EARTH AND SEA FOR THE DEVIL SENDS THE “IRON MAIDEN” WITH WRATH

Dopo la parentesi da headliners al Firenze Rocks lo scorso mese, i 6 (66) eroi dell’heavy metal mondiale tornano a Milano con l’imponente Legacy Of The Beast Tour 2018”, annunciato come uno degli show più coreografici nella storia della band. I gruppi spalla presenti sono i TREMONTI, gruppo del noto chitarrista Mike Tremonti degli Alter Bridge, dalla prolifica discografia solista e i THE RAVEN AGE, gruppo nel quale milita il figlio d’arte George Harris, nel ruolo di chitarrista. La location scelta è quella dell’Ippodromo di San Siro, decisamente capiente che ha facilmente contenuto le circa 20.000 persone accorse suddivise in 2 aree: prato 1 e prato 2 dove la prima zona era quella più vicina al palco, accessibile solo con l’ambito braccialetto Golden Pit. Per la logistica, il posto è facilmente raggiungibile, ben servito dai mezzi pubblici e all’interno casse veloci, così come il servizio per le birre e bibite, lunga coda invece per il mangiare.

Ciò che si respira sin da subito è l’atmosfera da grande festa del Metal, dove si incontravano amici ovunque senza neanche essersi messi d’accordo. Si è rivissuto lo spirito di fratellanza di un tempo, quell’anima che ha sempre reso speciali i concerti metal.

 

IRON MAIDEN: ORE 20.55 – 22.50

Quando il sole sta per tramontare dietro il grande palco, il volume si alza per le note di “Doctor Doctor” degli Ufo, che ormai da tempo i nostri hanno eletto come intro al loro spettacolo. La gente coglie subito il richiamo e inizia ad appostarsi per trovare la posizione migliore. La calda voce del classico “Churchill’s Speech” è la miccia che accende l’infuocato show dei 6 inglesi: l’enorme aereo di “Aces High” appeso a robusti fili compare sulla testa dei musicisti con un Bruce Dickinson vestito da pilota dell’epoca. Simbolicamente è l’aereo che ci fa volare ai fasti degli anni 80 ed a guidarci è il vocalist mattatore con la sua energia subito sprigionata e che mai l’abbandonerà per l’intero show. Di sicuro impatto come inizio! Cambio di telone sullo sfondo con nuova illustrazione di una montagna innevata e ci portano lassù, dove osano le aquile, “Where Eagles Dare”, che è una rarità dal vivo, ed è stupenda con un Bruce con il cappello imbottito di pelo che con la voce vola in alto, strepitoso! E’ un tripudio di adrenalina, sezione ritmica del collaudato ed inossidabile duo Steve Harris e Nicko McBrain da urlo e le tre chitarre ben scandite ed eccezionali a riproporre assoli leggendari senza incertezze o sbavature come era accaduto in altre occasioni. Neanche 2 minuti per rifiatare che un altro classico è servito: “2 Minutes To Midnight” con nuovo sfondo che illustra la relativa cover, suonata egregiamente e con il potente coro del pubblico al richiamo di Bruce.

Ottima davvero l’acustica, tutti gli strumenti si sentono bene, equilibrati e la voce risalta, valorizzando la prova del frontman. Attimo di pausa con quest’ultimo che con parlare affaticato introduce il brano rappresentato nel telone sullo sfondo da Eddie in versione William Wallace dal volto bianco e blu: il brano non può essere che “The Clansman”, canzone che è sempre piaciuta a Dickinson, nonostante appartenga all’era Blaze e sia contenuto nello sfortunato “Virtual XI”. Qui l’entusiasmo va calando, l’effetto dei classici è tutt’altra cosa rispetto ad una buona canzone come questa. Si resta in tema di guerre, da quelle scozzesi si passa a quelle di “The Trooper”, con un nuovo telone a rappresentare il celebre soldato Eddie questa volta a cavallo. Qui Bruce si presenta munito di sciabola, durante il brano si trova a combattere proprio contro Eddie Soldato alto 3 metri! Uno scontro titanico dove il vocalist sfrutta la sua agilità sbeffeggiando la celebre mascotte passandogli anche sotto le gambe. Non manca la bandiera, questa volta italiana sventolata con energia che si trasforma anche in fucile, quando viene “sparato” un colpo contro il povero Eddie che ferito esce dalle scene … sarà un arrivederci perché tornerà ancora più grande ed arrabbiato! Si odono scricchiolii … e avviene il primo cambio di stage che ora assume l’aspetto dell’interno di una chiesa con tanto di lampadari con candele e soprattutto vetrate a rappresentare la divinità del metal: Eddie di Seventh Son Of A Seventh Son e di The Number Of The Beast. Stupendo per introdurre “Revelations”. La voce di Dickinson, in versione predicatore, risulta al pari di quanto si era potuto apprezzare in Live After Death, davvero impressionante come sia eccelso ancora oggi. E’ il tempo dell’unico brano davvero sotto tono “For the Greater Good of God” tratto da A Matter of Life and Death dalla lunga durata, 9 minuti di relax nonostante i continui cambi di tempo. Scivolano così via la saltellante “The Wicker Man” e soprattutto “Sign Of The Cross” introdotta da cori gregoriani e che dal vivo desta un’ottima impressione, impreziosita dall’ugola di Dickinson (per l’occasione con un nero mantello) rispetto all’originale, che dimostra quanto fosse penalizzata su disco dalla scarsa produzione. Altro pezzo da novanta della serata sia per l’importanza della canzone che per la scenografia è “Flight Of Icarus”, dove sullo sfondo compare una grande statua alata di quasi 10 metri a simboleggiare Icaro e da dietro le quinte entra Bruce con un lanciafiamme sulle spalle: corre, canta, lancia fuoco, è incredibile … il pubblico è letteralmente infiammato per tutta l’esibizione che termina con Icaro dato alle fiamme. Grandissimi applausi! E senza la luce del fuoco si resta al buio, ma non occorre aver paura, ci pensa “Fear Of The Dark” ad illuminare nuovamente la scena con un indemoniato Dickinson in frac e cilindro neri impugnando una sorta di lanternino. Questa è la canzone più cantata e più esaltante per la maggior parte del pubblico, l’ultimo vero classico che la band inglese ha saputo comporre e che riesce a stare al fianco dei capolavori degli anni 80. L’atmosfera si fa ora nuovamente infuocata con “The Number Of The Beast”, dove le fiamme come fossero roghi scaldano il palco per concludere con “Iron Maiden” cantata dal pubblico, quasi un richiamo ad Eddie che non si fa attendere e compare dal basso del palco in tutta la sua grandezza di almeno 20 metri di larghezza con il volto da diavolo, come l’illustrazione del manifesto dell’evento e rappresentato sui fan ticket. Stupendo non ci sono altre parole, ogni volta gli Iron Maiden riescono a stupire. Tempo di rifiatare, e dopo pochi minuti tornano sul palco con nuova energia per gli ultimi 3 colpi: “The Evil That Man Do”, l’inno “Hallowed Be Thy Name”, dove Bruce appare dietro le sbarre come il condannato protagonista del testo della canzone per poi impugnare il cappio del patibolo e regalare un’altra prova superlativa, mentre la conclusione è affidata a “Run To The Hills”, dove l’indomabile vocalist galoppa nella parte superiore del palco come se avesse un cavallo, per poi concludere con la fuga simulata con esplosioni dietro di lui. Guardando l’orologio sono quasi 2 ore letteralmente volate: l’aereo di inizio show ha fatto volare anche il tempo, indietro per l’atmosfera e in avanti per quello che sembra una frazione di secondo per le innumerevoli emozioni trasmesse. Conclusione da applausi e ancora applausi per tutti. I sovrani dell’heavy metal restano irraggiungibili.

SCALETTA SI, SCALETTA NO … CAN I PLAY WITH MADNESS?

Parafrasando il titolo della celebre canzone, sembrerebbe da pazzi lasciare fuori dalla scaletta classici come “Wasted Years”, “Phantom Of The Opera”, “Wrathchild”, “Powerslave” e tanto altro ancora. D’altronde con una discografia così imponente qualcosa si deve pur sacrificare, occorre cambiare e gli show non possono durare 3 ore a questi livelli. Resta comunque un dato da segnalare che sono stati completamente omessi brani da album capolavori come “Killers”, “Somewhere In Time” e perché no, anche “No Prayer For The Dying”. Forse si poteva evitare “For the Greater Good of God” per dar spazio ad altre 2 canzoni, ma alla fine è stato tutto stupendo anche senza altre perle.

CONCLUSIONE: HEAVEN CAN WAIT!

Ebbene sì, il paradiso dell’heavy metal può attendere. I 6 artisti hanno dato vita ad uno show inimmaginabile. Sono apparsi come dei ragazzini con l’esperienza da veterani. Assistere ad uno show degli Iron Maiden non è vedere un concerto, ma è assistere ad uno spettacolo totale, da vedere, da ascoltare, da cantareda vivere.

Occorre esserci per capirlo. Eccezionali i musicisti: i 3 chitarristi Murray, Smith e Gers tendenzialmente stabili nelle loro posizioni, hanno suonato alla grande, Gers sempre pronto a saltellare e giocare con la sua chitarra, Adrian concentrato a lanciare note su note, Murray a elargire sorrisi compiaciuti. Sezione ritmica da incorniciare con Steve Harris che suona con l’entusiasmo di un ragazzo e poi Lui, Mr. Bruce Dickinson che è davvero la marcia in più, l’anima più potente del gruppo, indomabile, instancabile, carico di energia, tra cambi d’abito, recitazione, un cantato immenso, meglio di quanto proponeva negli anni 90. Aver perso questo concerto è aver perso un gioiello dell’heavy metal live.

Gli Iron Maiden, ancora una volta, oltre la Leggenda!

 

IRON MAIDEN Milano 9/7/2018

SCALETTA

Intro: Churchill’s Speech

Aces High

Where Eagles Dare

2 Minutes To Midnight

The Clansman

The Trooper

Revelations

For the Greater Good of God

The Wicker Man

Sign Of The Cross                              

Flight Of Icarus

Fear Of The Dark

The Number Of The Beast

Iron Maiden

– encore –

The Evil That Man Do

Hallowed Be Thy Name                                 

Run To The Hills                               

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