Ingegneri, medici, segretarie di direzione, un falegname, un inserviente, “dispensati” dal loro lavoro per palazzo Marino perche’ ebrei. Quattro di loro furono deportati ad Auschwitz e non tornarono piu’, tre di loro avevano ricevuto la Croce di guerra nel primo conflitto mondiale, una aveva persino partecipato alla marcia su Roma. Sono le storie dei 15 dipendenti comunali di Milano costretti a lasciare il loro lavoro a causa delle leggi razziali, a partire dal primo gennaio 1939, e scoperte da un gruppo di studenti dell’universita’ Statale. In collaborazione con il Centro di documentazione ebraica, nella Cittadella degli Archivi hanno lavorato per un anno incrociando i dati del censimento degli israeliti del 1938, i registri delle denunce di appartenenza alla razza ebraica del Comune, la rubrica degli ebrei residenti a Milano del 1942 e le deliberazioni podestarili fra il ’38 e il ’39, con cui si decise l’ “esonero” dei dipendenti. Il frutto del loro studio e’ stato presentato questo pomeriggio nella seduta del consiglio comunale, che ha voluto ricordare la storia dei 15 lavoratori di palazzo Marino e commemorarli con un applauso. In base alle leggi razziali, prima tutti i dipendenti dovettero dichiarare “la razza” di appartenenza, poi vennero le delibere del podesta’. Tocco’ lasciare il lavoro ad Aldo Levi, ingegnere dell’ufficio tecnico e Croce di guerra, poi arrestato con moglie e figli, a Silvia Astrologo, impiegata avventizia, a Laura Milla, impiegata, riassunta mesi dopo nella sezione israelitica della scuola di Stato di via della Spiga, a Gino Neppi, medico di reparto, poi arrestato nel ’43 a San Vittore: tutti e quattro partirono dal binario 21 per Auschwitz e non sopravvissero.