Rosetum, uno spettacolo per San Francesco

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Il Centro Culturale Rosetum celebra anche quest’anno la giornata del 4 ottobre –  festa liturgica di San Francesco – con lo spettacolo Un uomo di nome Francesco. Un’occasione da non perdere per ricordare il Santo di Assisi e vivere un importante momento di riflessione a teatro. Un uomo di nome Francesco è una commedia religiosa scritta da Giampiero Pizzol che vede in scena Padre Marco Finco, Valerio Bongiorno, Piero Lenardon e Carlo Rossi. La regia è di Letizia Quintavalle per una produzione firmata Filarmonica Clown.
‘Bisogna cominciare a fare qualcosa perché fino ad ora non abbiamo fatto niente’.

 

“Così, con queste parole, concludeva Francesco la sua vita terrena e così ci si sente nel tentare di seguire l’uomo Francesco che spalanca la porta di Cristo” – spiega Padre Marco Finco. “Quel che non si sa si impara!  – continua Padre Marco. “Abbiamo desiderato e tentato di imparare da lui quella semplicità che ti fa affrontare la realtà per quello che è, e non per quello che tu immagini che sia. Un rapporto, questo con la realtà, che non può essere vissuto se non in una amicizia, in una fraternità che accompagna e sostiene. E proprio questo sta all’origine di questo lavoro, di questo “teatro”. Il teatro è finzione, ma questa finzione ci ha riportato continuamente alla realtà”.

“Scherza con i fanti ma lascia stare i Santi” – interviene Carlo Rossi.  “Così la saggezza popolare, ma per noi la faccenda si è complicata perché il ‘Fante’ è diventato un santo. Caspita. E allora si può ancora scherzare? E se si, su cosa? Ci siamo imbattuti, caro Francesco, in qualcosa di incommensurabilmente grande ed è successo grazie a te. E qualcosa, anzi qualcuno, che non possiamo restringere, nei nostri ragionamenti e contenere nelle nostre pretese, anche se noi ci proviamo in continuazione. E’ questo che è veramente comico. E allora si può ancora scherzare”.

Note di regia (di Giampiero Pizzol e Letizia Quintavalla)

Francesco aveva compagni e non seguaci …parevano uomini del bosco, uomini selvatici ma pacifici, austeri e lieti…uomini dalle suole di vento…e la sua vita fu tutto un camminare. Andavano per il mondo a mani vuote come i bambini, senza libri e senza spada, in ogni angolo di mondo, in ogni tempo fino a noi e oltre noi. Francesco d’Assisi, esempio costante di rifiuto del potere, fonda un «codice dei fratelli « al posto del codice paterno. Il codice dell’efficienza è del padre e ha prodotto la possibilità di distruggerci tutti fino all’ultimo uomo. Il codice fraterno può entrare nella Storia come nascita di rapporti nuovi fra uomini e fra Stati in cui l’onnipotenza distruttiva coincide con l’impotenza. La generosità della sua giovinezza lo porta, passando per una laica primavera, a formulare un programma pazzesco per un movimento che rivoluziona la Storia, e come i movimenti rivoluzionari ha dentro di sé delle ipotesi di infinito e di assoluto, di continua incessante proposta di cambiamento.. Il «codice dei fratelli» si può realizzare perché i fratelli trovano il punto di riferimento esterno a loro: il Vangelo. Francesco cantava il Vangelo e predicava con parole dolcissime in un volgare semplice e spontaneo, si aiutava coi gesti, la mimica, il canto e la musica: era come assistere ad uno spettacolo, ad una commedia religiosa. E’ possibile una commedia religiosa? Come conciliare comico e sacro, saggezza e follia, fede e dubbio? Forse con un teatro candido che cerca altezze metafisiche come quella a cui è arrivato Francesco. Fare i poeti o i mercanti, i ricchi o i mendicanti? Cosa c’è da fare in questo mondo? Cercare la felicità, la verità, cercare Dio, farsi trovare da Lui? Il Vangelo capovolge le regole del gioco: “Perdere tutto, guadagnare tutto. Giocarsi tutto fino a restare nudi e scalzi .” La gioia di non essere mai a casa propria, ma sempre fuori, sfinito, affamato, ovunque nell’esterno del mondo. Francesco fu produttore di cultura e non consumatore o organizzatore perché tutto è dotato di senso nell’amore insensato.

 

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