C’era una volta un Paese nel quale la gente riusciva sempre a smentire sondaggisti, giornalisti, professionisti della tastiera e leoni di Facebook. In Lombardia, ieri, sono andati al voto 140 comuni. Alla fine l’esito è abbastanza chiaro. Lega Nord e Forza Italia si riaffermano ovunque. E la notizia non è la forza del Carroccio, sugli scudi già da un po’, ma quella degli azzurri. Dati per morti contando sull’ignoranza di una regola basilare. I partiti possono morire, ma gli elettori di una determinata area, coloro i quali credono in certi valori, quelli non muoiono. Al massimo si trasferiscono temporaneamente di casa, e stop. Quando però a livello locale ci sono candidati credibili, allora tutto cambia: si torna a casa. Poi c’è la storia del Movimento 5 Stelle, che non riesce a giocarsela da nessuna parte. E’ evidente che la gente pensa tutto il male possibile della politica romana, ma i territori – quelli nei quali davvero la politica ci mette la faccia – sono un’altra cosa. Lo avevamo visto a Milano lo scorso anno, l’abbiamo rivisto ad esempio a Lodi. Dovevano sfondare tutto, grazie alle inchieste giudiziarie che avevano portato in carcere l’ex sindaco Uggetti. Si sono fermati a quasi il 10 per cento, fuori da qualunque contesa. Poi c’è il Pd. Che oggi fa la voce grossa e gioisce, ma che in effetti, almeno in Lombardia, non riconferma neppure lontanamente Monza, dove anzi il sindaco uscente Roberto Scanagatti è sotto Dario Allevi, sfidante del centrodestra unito. E a Sesto San Giovanni, l’ex Stalingrado d’Italia, si deve andare a giocare il ballottaggio Monica Chittò, sindaca non proprio amata, e Roberto Di Stefano, rappresentante del centrodestra. C’erano una volta le roccaforti, e non ci sono più. Ed è un bene.