Chi disdetta un contratto di telefonia oggi si trova a dover pagare i cosiddetti “costi di disattivazione” che, nei fatti, hanno sostituito le vecchie penali eliminate a suo tempo dal decreto Bersani. “Abbiamo sempre contestato tale prassi – dice Eddy Locati, di Aiconsum Bergamo -, ma fino ad oggi c’era poco da fare, perché l’Autorità per le comunicazioni l’aveva considerata legittima. Ma recentemente è stata emessa una sentenza che apre spiragli alle nostre posizioni”. Il recesso da un contratto stipulato con operatori di telefonia, infatti, non può comportare per legge dei costi, comunque denominati e neanche indiretti. La sentenza n. 2707 del 28 settembre scorso, arriva dal Tribunale di Taranto, in composizione monocratica, e prende le mosse dall’art. 1, comma III della legge n. 40/2007, che convertiva il decreto legge n. 7-2007, meglio noto come decreto Bersani. Nelle motivazioni della sentenza si legge che i contratti per adesione stipulati con operatori di telefonia “devono prevedere la facoltà del contraente di recedere dal contratto e di trasferire le utenze presso altro operatore senza vincoli temporali o ritardi non giustificati e senza spese non giustificate dai costi dell’operatore”. Per il Tribunale, infatti, l’intento del legislatore è quello di favorire la concorrenza piena nel mercato della telefonia eliminando i costi correlati al recesso operato dall’utente, parte debole del rapporto. “Come reso palese dalla lettera della norma, ma soprattutto dall’intenzione del legislatore, il recesso in parola non deve quindi comportare costi – insiste Locati. Il costo di disattivazione o, come nella circostanza in esame, di migrazione, posto che in quest’ultimo caso si ha un passaggio dell’utente ad altro operatore, di per sé non può giustificarsi perché si finirebbe per rendere oneroso il recesso, che invece la legge ha voluto gratuito”. L’applicazione di tali costi svuoterebbe la norma del decreto Bersani del contenuto precettivo. Per il Tribunale, l’espressione usata dal legislatore: “e senza spese non giustificate dai costi dell’operatore”, non può essere interpretata nel senso di privare di contenuto precettivo la prima parte, il “senza spese”, attraverso l’espressione, apparentemente contraddittoria, “non giustificate dai costi dell’operatore”; altrimenti attraverso quest’ultima breccia si farebbe passare di tutto, come faceva l’appellante: anche i costi della Rete Telecom, come se non fossero invece causalmente collegati al canone. “Alla luce di questa Sentenza, intendiamo quindi contestare i “costi di disattivazione” e invitiamo tutti coloro che si troveranno in bolletta simili addebiti a contattarci per iniziare un contenzioso nei confronti delle Società telefoniche che lo applicheranno”.