Quanto fonde il ghiacciaio? Risponde il drone

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Cinque metri più corta e sei metri più bassa: di tanto si è ridotta la fronte del ghiacciaio del Morteratsch, nel gruppo del Bernina in Svizzera. Lo rivela l’innovativa tecnica di monitoraggio con droni e modelli 3D ideata dal gruppo di Telerilevamento del Dipartimento di Scienze dell’Ambiente, del Territorio e di Scienze della Terra (DISAT) dell’Università di Milano-Bicocca. Il gruppo di Telerilevamento, in collaborazione con i gruppi di Geomatica, Glaciologia e Microbiologia, ha organizzato due campagne sul ghiacciaio dell’Engadina con l’obiettivo di studiare la sua evoluzione durante la stagione estiva. Le rilevazioni sono state effettuate in collaborazione con Eyedrone, per creare dei modelli digitali tridimensionali e stimare il volume di ghiaccio perso durante la stagione di fusione. Le rilevazioni con il drone si sono svolte a 150 metri di altezza rispetto alla superficie e le immagini sono state scattate a intervalli di pochi secondi: in questo modo è stato possibile ricostruire un modello tridimensionale della lingua del ghiacciaio del Morteratsch, fino a 2.400 metri di altitudine.

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Il modello permette di effettuare misurazioni fisiche precise in ogni parte del ghiacciaio: gli studiosi sono infatti in grado di determinare il volume di ghiaccio perso durante la stagione estiva. Un metodo di rilevazione rapido, preciso e relativamente economico, che apre la possibilità di stimare bilanci di massa su diversi ghiacciai alpini. I periodi ideali per questo tipo di rilevazioni sono stati individuati nei mesi di luglio e settembre intorno all’inizio e alla fine della stagione di fusione, quando le nevi stagionali scompaiono e il ghiaccio vivo è esposto alla radiazione solare diretta. Un altro importante obiettivo è quello di capire che cosa renda più scuro l’apparato glaciale: il ghiaccio se diventa più scuro assorbe maggiormente le radiazioni, accelerando il processo di fusione. Fra gli obiettivi di questa ricerca, infatti, c’è anche quello di creare mappe degli indici di scurimento del ghiaccio e indagare le cause di questo fenomeno: per questo motivo, sono stati quindi raccolti campioni di “crioconite”, un sedimento scuro che si forma sulla superficie del ghiacciaio, dove si accumulano polveri atmosferiche e microrganismi. Una delle cause dello scurimento è stata individuata nelle deposizioni di polveri di origini sahariane, ma le ricerche mirano a cercare di capire quanto le deposizioni di particelle di origine naturale e antropica influiscano sulla fusione dei ghiacciai: lo scopo è quello di distinguere l’effetto che deriva dai cambiamenti climatici (variazioni di temperatura e precipitazioni) da un eventuale impatto che dipende dall’attività umana e in particolare dai combustibili fossili. Il velivolo è un drone quadrirotore commerciale, modello Phantom 4 DJI, ed è già equipaggiato per acquisire immagini e telemetrie. Pesa 1.380 grammi con le batterie, può volare fino a 72 chilometri all’ora, restare in volo in quota fino a 15-20 minuti e ha dimensioni piuttosto compatte: la diagonale che va da un’elica all’altra misura circa 35 centimetri. Le informazioni raccolte saranno integrate con immagini satellitari (NASA, ESA) in modo da applicare i modelli sviluppati ad altri ghiacciai dell’arco alpino. Un’attività che si inserisce nel contesto di un progetto di ricerca più ampio, recentemente approvato dall’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) nell’ambito del bando “Osservazione della Terra: attività preparatorie per future missioni e payload”. Il progetto, coordinato dal professor Stefano Sanguinetti e dal dottor Roberto Colombo, riguarderà lo sviluppo di nuovi sensori per lo studio delle proprietà ottiche e termiche della criosfera. «Queste campagne – spiega Biagio Di Mauro, ricercatore all’Università di Milano-Bicocca – hanno l’obiettivo di applicare nuove tecniche di telerilevamento alla glaciologia. L’utilizzo combinato della spettroscopia di campo, di droni e sensori satellitari permetterà di avere un quadro più completo dello stato dei ghiacciai alpini, in forte ritirata da inizio secolo. Il ruolo delle polveri atmosferiche e dei microrganismi è importante anche per le calotte polari: in Groenlandia, infatti, questi processi possono avere un impatto notevole sulle dinamiche di fusione glaciale e, di conseguenza, sull’innalzamento del livello globale dei mari».

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