La sicurezza sul lavoro? E’ anche una questione di genere. Soprattutto sul fronte dei dispositivi di protezione individuale e degli indumenti da lavoro. Le scarpe antinfortunistiche per le lavoratrici devono avere modelli adatti alla diversa conformazione del piede. Idem per pantaloni, giacche o gilet: per contribuire a creare condizioni di lavoro adeguate e prevenire incidenti non devono essere unisex, ma devono potersi adattare alle fisicità diverse. Così purtroppo non avviene. E i rischi aumentano. Lo dimostra un’indagine condotta dalla Cisl Asse del Po (Cremona, Lodi, Mantova), in collaborazione con il dipartimento Salute e sicurezza della Cisl nazionale, su 532 lavoratrici e lavoratori di 11 aziende tra industria alimentare, chimica, gomma plastica e metalmeccanica. Dai dati emerge che solo il 21% dei lavoratori è stato coinvolto nella scelta dei dispositivi di protezione individuale (cuffie, casco, guanti, scarpe) e il 20% nella scelta degli indumenti. Il 59% dei lavoratori dichiara di aver ricevuto scarpe e guanti unisex non differenziati per genere tra maschio e femmina, mentre sul fronte degli indumenti da lavoro si registra una distribuzione unisex nell’85% dei casi. Solo il 15% degli intervistati, quindi, ha potuto indossare grembiuli, tute, maglie o giubbotti, adeguati.
Tra i disturbi più frequenti indicati dai lavoratori troviamo il mal di schiena e mal di piedi, a causa delle scarpe antinfortunistiche. Tra gli indumenti di lavoro più scomodi troviamo invece i pantaloni e le maglie per le lavoratrici, in quanto costrette a indossare taglie da uomini e quindi troppo larghe. “Il quadro che emerge dai dati raccolti è una ulteriore conferma negativa di quanto da tempo si registra in tema di Dpi e indumenti da lavoro – afferma Cinzia Frascheri, responsabile dipartimento salute e sicurezza Cisl -. Il disagio e il danno manifestato dagli intervistati colpiscono non solo per il dato di inadeguatezza delle condizioni in cui sono chiamati a svolgere il proprio lavoro, ma soprattutto in prospettiva considerando le ricadute in termini di costi aziendali e sociali che tale condizione determina, avendo necessariamente dei riflessi diretti sulla salute, sulla sicurezza e, non meno, sulla mancata produzione”. E se oggi a registrare i problemi maggiori sono le lavoratrici, cui le case produttrici di Dpi e indumenti da lavoro ancora non guardano come popolazione da dover soddisfare, continuando a produrre capi pensati per uomini e ridimensionando solo le misure (quando non unisex), secondo la Cisl nel breve tempo i problemi aumenteranno considerato il repentino invecchiamento della popolazione lavorativa. “Per questo abbiamo promosso un’azione complessiva di sensibilizzazione nelle aziende del problema, agendo attraverso gli Rls e Rlst mediante lo strumento della consultazione preventiva della valutazione dei rischi – afferma Giuseppe Sbarufatti, responsabile dipartimento Salute e sicurezza Cisl Asse del Po -. Come Cisl Asse del Po vogliamo avviare un ampio coinvolgimento di tutte le categorie affinché i dispositivi di protezione individuale in ottica di genere diventino un vero e proprio punto da inserire nella contrattazione aziendale”. “Perché i datori di lavoro – aggiunge – devono capire che si tratta di un investimento, non di un costo”.